Norvegia, il paradiso (drogato) delle auto elettriche

Norvegia, il paradiso (drogato) delle auto elettriche
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Nel Paese scandinavo, le immatricolazioni degli EV hanno sorpassato quelle con motore termico. Ma solo grazie alle politiche di sostegno del governo. Che, però, non tengono conto di una serie di importanti conseguenze...
5 settembre 2019

In Norvegia, le immatricolazioni di veicoli elettrici rappresentano più della metà del totale (il 57%, per l'esattezza), a fronte di percentuali di vendita nel mondo che, a stento, raggiungono la doppia cifra, per via di una serie di fattori lunga da elencare che annovera, per esempio, il loro prezzo elevato, l'autonomia ancora insufficiente, i tempi di ricarica troppo lunghi.

Un vero e proprio Eldorado della mobilità ecosostenibile, si direbbe, quindi. Peccato che, invece, stando almeno a quanto argomenta il finanziere e divulgatore Nawar Alsaadi in un dotto articolo che riprendiamo dal sito di informazione comedonchischotte.org, senza considerare alcuni fattori-chiave, questo grande successo sventolato da ogni dove rischia di rivelarsi, invece, un falso mito.

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Alla base dell'equivoco, c'è una convinzione: le vetture a propulsione elettrica possono dare il loro contributo a combattere il cambiamento climatico senza dover, al contempo, mettere in atto una serie di azioni per cambiare la cultura automobilistica.

Niente di più sbagliato... Sta di fatto che le moli di vendite di EV in Norvegia hanno cominciato a essere interessanti già nel lontanissimo (relativamente al mercato dell'auto elettrica) 2015, quando cioè già sfiorava le 100 mila unità, fino ad arrivare al giugno di quest'anno, con un ordine di grandezza più che triplicato, andando a sfiorare quota 350 mila esemplari venduti.

E tutto questo nonostante il clima, se si considera che le basse temperature che si registrano nel Paese per la maggior parte dell'anno comportano una riduzione dell'autonomia dei veicoli a propulsione elettrica anche del 40%.

Le distorsioni del mercato

Dietro a questo fenomeno - spiega l'autore - c'è la politica norvegese, o meglio, una serie di sue decisioni politiche di impronta statalista che hanno stritolato la mano invisibile del mercato, creando una distorsione unica nel suo genere, sia dal lato della spinta all'acquisto dell'elettrico ("la carota") che, per converso, nel disincentivare quello delle vetture con motore termodinamico ("il bastone").

Sul primo punto, dobbiamo ricordare che, in Norvegia, i veicoli elettrici sono esenti dal ricarico dell'Iva e da ogni altra tassa che si applica tipicamente alla compravendita, così come le imposte sulle auto aziendali (inferiori del 50% rispetto a quelli con motore a combustione). Inoltre, le EV possono stazionare gratis nel parcheggi pubblici, evitare di pagare il pedaggio nelle strade che lo prevedono, e percorrere le corsie riservate ai mezzi pubblici. Senza contare che la ricarica delle batterie è gratuita pressoché ovunque, grazie agli investimenti statali nella creazione, in crescita, di colonnine.

Tutto ciò, ovviamente, per il ministero norvegese del Tesoro, ha un costo. Che, secondo una serie di autorevoli studi universitari, ammonterebbe a oltre 8 mila dollari per ogni veicolo EV venduto. Se consideriamo che alla fine del 2018, la Norvegia aveva 200.000 EV registrati, il totale annuo di tali sussidi arrivava a 1,62 miliardi di dollari.

Sul fronte opposto, quello del “bastone” invece, una serie di balzelli sulle auto “tradizionali”, tra cui le tasse sulla CO2, sul NOx e sul peso, a cui si aggiunge l'Iva al 25% e le accise - esorbitanti - su benzina o gasolio.

Anche le batterie inquinano (e non poco)

Qualora, si volesse ipotizzare che, in un futuro più o meno prossimo, ogni automobilista norvegese decidesse di convertirsi all'elettrico, il sostegno da parte dello Stato diventerebbe la seconda voce di spesa del bilancio, inferiore soltanto a quella per le pensioni.

A questo punto, i fautori della strategia norvegese potrebbero facilmente sostenere che l'impegno economico del governo norvegese, per quanto elevato, sia pienamente giustificato dal Fine Superiore, quello della drastica riduzione delle emissioni nocive.

E invece dimenticano un "particolare": per quanto con il passaggio all'elettrico le emissioni nel traffico stradale si riducano, non si tiene conto di quelle che riguardano la CO2 che viene prodotta nella produzione delle batterie e, più in generale, in tutti i frangenti che riguardano il ciclo di vita di un veicolo.

I valori relativi a questo genere di emissioni non sono facilmente reperibili, ovviamente, ma è comunque verosimile pensare che, qualora lo fossero, non verrebbero comunque messe nel conto generale per la valutazione complessiva della strategia statale di incentivazione.

Le alternative a un modello che fa acqua

A monte di tutte queste considerazioni, l'autore dell'analisi giunge a una conclusione in forte controtendenza rispetto al modello norvegese, sostenendo cioè che i migliori risultati in termini di riduzione delle emissioni di CO2 dovute ai trasporti non necessitano di una distorsione del mercato attraverso l'utilizzo smisurato di fondi statali teso a incentivare l'elettrico, bensì con un mix di politiche incentrate sul sostegno al trasporto pubblico e all'acquisto di veicoli a motore termico ad alta efficienza.

E lo fa continuando a supportare le tesi con le cifre, per esempio quelle dello studio diffuso dall'autorevole istituto tedesco IFO, il quale ha concluso che un incremento della diffusione di veicoli elettrici, in Germania, aumenterebbe - e non di poco - le emissioni stradali di CO2, più di quanto non farebbe una politica a favore delle auto diesel a basso consumo di carburante.


(Luciano Lombardi)

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