Motori e inquinamento oggi: la marmitta catalitica. III Parte

Motori e inquinamento oggi: la marmitta catalitica. III Parte
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Gli interventi motoristici che hanno consentito di ridurre le emissioni. In questa puntata ci occupiamo della marmitta catalitica | M.Clarke
21 dicembre 2015

Per quanto si possa fare a livello motoristico, inevitabilmente dallo scarico esce una piccola quantità di sostanze nocive, per abbattere le quali è necessario prendere provvedimenti “a valle”. Occorre cioè effettuare un post-trattamento dei gas, che consenta di trasformare le sostanze nocive in altre innocue. Per i motori diesel c’è anche il problema del particolato (termine col quale viene indicato l’insieme delle particelle solide e liquide che escono dai cilindri assieme ai gas combusti). Pure i motori a benzina a iniezione diretta ne producono e di ciò tengono conto le più recenti norme anti-inquinamento, delle quali parleremo prossimamente. In questa sede invece ci occupiamo solo delle emissioni nocive gassose prodotte dal motore e del loro abbattimento.

Da svariati anni a questa parte tutte le auto con motore ad accensione per scintilla sono dotate di marmitte catalitiche trivalenti, all’interno delle quali avviene la conversione degli inquinanti in sostanze innocue, ovvero acqua, azoto e anidride carbonica. Quest’ultima non è velenosa ma è irrespirabile e inoltre è fortemente responsabile del riscaldamento globale da tempo in atto. Per questa ragione le sue emissioni vengono comunque limitate da apposite norme. Si tratta però di un normale prodotto della combustione, che non può essere abbattuto con un post-trattamento dei gas emessi dal motore. Per limitare la quantità emessa dagli scarichi degli autoveicoli occorre perciò ridurre i consumi.

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All’interno della marmitta catalitica gli ossidi di azoto subiscono una “riduzione”, che li converte in azoto e ossigeno, mentre l’ossido di carbonio e gli idrocarburi vengono ossidati. Questo è reso possibile dalla presenza di alcuni catalizzatori, ovvero da alcuni elementi metallici che, lambiti dai gas, fanno avvenire le reazioni in oggetto in tempi estremamente brevi. Perché ciò accada è necessario che la temperatura sia elevata.

Una marmitta catalitica è costituita da un involucro in acciaio all’interno del quale è posto un “supporto” a celle, che i gas combusti sono obbligati ad attraversare (talvolta i supporti impiegati sono due, piazzati uno dietro l’altro). Sulle pareti delle celle è applicata uno strato di materiale ceramico (il “washcoat”) con superficie fittamente frastagliata, nel quale sono disperse le particelle di catalizzatore. In questo modo, con un volume esterno piuttosto ridotto, è possibile ottenere una superficie attiva molto elevata. La cosa è di importanza essenziale in quanto al crescere della quantità di gas che entra a contatto con il catalizzatore, aumenta la percentuale delle sostanze nocive che viene convertita.

I catalizzatori impiegati sono il rodio, il palladio e/o il platino, metalli molto costosi. La quantità presente in una marmitta catalitica può essere anche dell’ordine di 5 grammi. Le particelle hanno dimensioni estremamente ridotte (si misurano in nanometri e non in micron!) e il loro numero è quindi elevatissimo.

Da anni le benzine destinate ai motori per autotrazione sono prive di piombo, che in precedenza era presente in alcuni additivi antidetonanti. Questa misura si è resa necessaria perché tale elemento “avvelena” il catalizzatore

Il supporto può essere ceramico o metallico. Nel primo caso il materiale impiegato è usualmente la cordierite e le celle hanno pareti il cui spessore tipicamente è dell’ordine di 0,15 mm. In molti casi ce ne sono 400 per pollice quadrato, corrispondenti a 62 per centimetro quadrato.

I supporti metallici vengono realizzati utilizzando lamierino fittamente corrugato in acciaio inox ad alto tenore di cromo e con una notevole percentuale di alluminio. Rispetto a quelli ceramici hanno una maggiore resistenza meccanica e a parità di ingombro esterno possono avere una area di passaggio gas (ossia una superficie “utile”) nettamente maggiore. Inoltre, si possono riscaldare più rapidamente e possono dar luogo a una minore contropressione allo scarico. Le pareti delle celle (che in questo caso non di rado sono 600 per pollice quadrato) hanno in genere uno spessore di 0,05 mm.

Il rendimento di conversione più elevato (ben oltre il 90%) si ottiene mantenendo il titolo della miscela aria-carburante all’interno della strettissima “finestra di dosatura”, collocata in corrispondenza del valore stechiometrico (nel caso della benzina è circa 14,7 parti di aria per una di carburante, in peso) e nelle sue immediate vicinanze. Per ottenere i migliori risultati è perciò necessario che la centralina che controlla l’iniezione venga informata costantemente in merito al titolo della miscela che sta alimentando il motore, in modo da poter intervenire immediatamente per riportarlo al valore corretto, se necessario. Questo è possibile grazie a un apposito sensore, detto sonda lambda, che rileva la quantità di ossigeno presente nei gas di scarico e informa la centralina, la quale può calcolare in tempo reale il titolo della miscela e agire di conseguenza, variando come opportuno la quantità di carburante emessa a ogni ciclo dagli iniettori.

Per lavorare al meglio, convertendo la maggior quantità possibile di gas nocivi in sostanze innocue, la marmitta catalitica deve lavorare in un campo di temperature compreso indicativamente tra 400 e 800 °C. Se questo secondo valore viene superato inizia un processo di “invecchiamento termico”, che determina una progressiva perdita di porosità del washcoat e quindi una diminuzione della superficie attiva e perciò della efficienza di conversione.

Per cominciare a svolgere il suo compito con una certa efficacia, la marmitta catalitica deve superare una temperatura detta di “light off”, che in genere è dell’ordine di 250 °C. Le auto moderne sono studiate e realizzate in modo da raggiungere tale temperatura con la massima rapidità, dopo l’avviamento.

Da anni le benzine destinate ai motori per autotrazione sono prive di piombo, che in precedenza era presente in alcuni additivi antidetonanti. Questa misura si è resa necessaria perché tale elemento “avvelena” il catalizzatore e quindi, se contenuto nel carburante, è in grado di mettere in poco tempo fuori uso la marmitta.

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