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Ieri si correva l’ultima gara della Indy Car a Las Vegas. Avrebbe dovuto essere una grande festa, l’evento finale di un campionato entusiasmante. Tanti non aspettavano altro, uno spettacolo appassionante. Così non è stato.
C’è stato un terribile incidente che ha visto coinvolte 15 auto. In una di queste c’era Dan Wheldon. Ha lasciato la moglie e due figli piccoli, uno di due anni, l’altro di sei mesi. Di lui si scriveranno pagine e pagine, parole e parole per ricordare le sue vittorie (aveva vinto la 500 miglia di Indianapolis) e altrettante parole per dire se era più o meno bravo, corretto, simpatico e tanto altro.
Io non sono certo un’esperta di automobilismo ma questo è il motorsport. Del resto quanto si pensa che la pole position a Las Vegas è stata fatta ad una media di 358 Km/h non si può pensare che non sia pericoloso. E’ questione di un attimo. I piloti stessi ne sono consapevoli. Wheldon, per questa gara, sul casco aveva disegnata una roulette! Dan ieri correva per una “scommessa”: se avesse vinto avrebbe diviso un assegno di 5 milioni di dollari con uno spettatore. Ieri purtroppo il “giochino” si è rotto ed è stata una tragedia.
Quello che è accaduto è senz’altro una disgrazia ma io non voglio scrivere di questo perchè questo è un fatto privato e per questo l’unica cosa da fare è rispettare il dolore della famiglia. Io voglio scrivere di quello che è successo dopo.
La gara è stata ovviamente interrotta. Nessuna notizia è stata fatta trapelare fino al momento in cui è stata data la comunicazione ufficiale della morte del pilota da parte del CEO dell’IndyCar Randy Bernard. Tutte le squadre, i piloti, i meccanici e tutti quelli che erano in pit-lane si sono raccolti, alcuni hanno pregato, altri pianto. E’ stato come una grande famiglia che si è unita di fronte ad un grande dolore. La gara non è ripresa, i piloti hanno deciso di fare 5 giri per onorare Dan Wheldon. Cinque giri in fila per tre, solo col rumore dei motori e “Amazing Grace” che suonava. Ai bordi della pista tutti in piedi.
Questo è stato un grande messaggio che tutti gli sport dovrebbero dare, sempre. Gli interessi economici in ballo erano tanti ma non hanno prevalso. Il rispetto di fronte alla morte di un uomo, il dolore dei “colleghi”, l’emozione dei sentimenti hanno portato alla rottura degli schemi. Tutti uniti per un ultimo tributo ad un pilota di 33 anni che è morto.
Gli americani si sono letteralmente inventati un “codice” che mi ha ricordato molto le parate militari in onore dei soldati caduti in guerra. La differenza è che nell’esercito questo codice è scritto ed è sacro, nello sport no. In Italia nè il calcio nè la Formula 1 avrebbero mai fatto una cosa del genere. Gli interessi degli sponsor o i dissapori tra squadre non avrebbero mai permesso di trovare un accordo unanime, nemmeno di fronte alla morte. Basti pensare a cosa è successo quando è morto Senna, ma di esempi ce ne sono tanti altri, purtroppo.
Ecco, io volevo solo fermarmi a riflettere su questo, su quello che deve trasmettere ed insegnare lo sport. Se ieri sera un bambino avesse guardato la gara di Las Vegas avrebbe assistito in diretta alla morte di un uomo, ma avrebbe anche visto ed imparato molto altro: il rispetto, la solidarietà, la generosità, l’umanità.
Questo è lo sport e questa è la sportività.
Monica Secondino