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Che dire, noi che ci siamo stati nelle prime file dell’Ariston, con interesse prima motoristico che musicale (vedi eco-gara Suzuki Hybrid) casualmente ascoltiamo come primissima esibizione quella del discusso Achille Lauro. Nei primi momenti non è piaciuta, manco abbiamo collegato quel ragazzo dall’impatto tamarrissimo al nostro mondo, ma a furia di ascoltarla e, soprattutto, dopo il duetto con il grande Morgan: ecco la rivalutazione. Nell’intervista che il Castoldi di Monza (che non è lo storico vice-preside del Collegio Villoresi - a Monza ovviamente - ma Marco C. in arte Morgan) rilascia, scopriamo qualche chicca non legata alla polemicona sulle droghe riferibili al titolo nonché ritornello.
Morgan racconta di come gli avessero dato un compito duro nel lavorare su questo testo e le musiche per il duetto. Un testo che pare estremamente banale, nei contenuti e nella grammatica. Da buon fantasista e narratore, musichiere certamente, un po’ meno bene forse cantante (perdonaci Marco, ma lo sai che il "vocione" lo hanno altri) il vecchio ribelle ora saggio Morgan, rivaluta l’arte della canzone demonizzata, spiegando che il messaggio è solo quello di speranza, di preghiera: “Dio salvaci…” è la frase cardine, sebbene non urlata a ripetizione come il brand automobilistico, o le surreali citazioni degli idoli musicali nel secolo scorso. "E' uno sgangherato rock ’n roll proposto da un rapper, ma dentro porta il seme" quello artisticamente buono, dice Morgan.
Ma come? Questi che a vederli sono fuori dai canoni del Festival e anche del decoro; che sembra pensino, se va bene, che si vive di consumismo e vita all’estremo (quella di Elvis, Doors ed Hendrix, tanto per citarne alcuni); affogando le lacrime, come diceva Marylin Monroe “su una Rolls piuttosto che su un rottame d’auto”… Adesso gli stessi mi si dice che sotto l'immagine forte piangono le durezze del mondo, sperando in Dio?
Piacerebbe che certe spiegazioni le abbia date qualcun altro, ma prendiamo per buono quanto dice Morgan, che lui certo ci piace, quando suona bene (il cavo staccato al basso, durante l'esibizione al Festival! ndr) quando dice che: “La musica ha bisogno dell’auto” usata qui come un supporto alla "preghiera".
Sacro e profano? Certamente. La versione di Rolls-Royce su cui avrebbe lavorato Morgan per settimane, fosse per lui cambierebbe anche il nome del costruttore auto che usa come simbolo sui cofani lo Spirit of ecstasy, in quello di Tolstoj, autore russo. "Sarebbe un effetto pazzesco, la gente ai concerti che lo urla". Sempre Morgan però, difendendo la canzone che molti non avrebbero voluto al Festival così come è, riporta al centro del discorso l’auto e i suoi concetti abbinabili alla musica. “L'auto a volte è la cosa più importante: è normale che nelle canzoni se ne parli".
Nelle canzoni, spiega Morgan, l'auto è un oggetto immaginato e disegnato, che "abita il mondo poetico di una canzone e rappresenta il concentrato del desiderio, è una cosa sognata”. Tutte le canzoni che parlano dell’automobile o del motore in generale, sono un "concentrato di tensione nel fare, uno stimolo all’azione per la propria gratificazione". L’automobile delle canzoni di cui parla Morgan, anche se a molti Rolls-Royce non sembra di quelle, è unicamente simbolo di gioia e appagamento.
Da Mercedes-Benz (Janis Joplin 1970) che si conclude anch’essa con una preghiera, a Torpedo Blu (Giorgio Gaber 1968) Drive my Car (Beatles 1964) fino a Bowie che vedeva la celebrità dentro una limousine (Fame con John Lennon, 1975) e così via, tanti altri…
Perché dopo aver ascoltato, in tutti i sensi, quanto esce dal Festival, si capisce perché quel mondo, della musica, è onestamente più libero, irrazionale e divertente di quello nostro delle auto, 1000 volte a uno. Però alla fine, sempre dell’auto da idolatrare o trattar male hanno bisogno, per emozionarsi e scrivere nuove canzoni, che faccian colpo.