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Per chi ha seguito la Formula 1 tra gli inizi degli anni Sessanta e la fine degli Ottanta il nome di Mauro Forghieri accende grandi emozioni. Modenese, 78 anni, Forghieri è una figura unica nel panorama mondiale. E' stato direttore tecnico del Reparto Corse Ferrari dal 1962 al 1987 e progettista di tutte le vetture da corsa del Cavallino in quel periodo. Una volta lasciata la Ferrari, Forghieri ha realizzato l’ottimo 12 cilindri Formula 1 Lamborghini, è stato direttore tecnico Bugatti e, nel 1995, ha fondato con due soci la Oral Engineering.
Una società di consulenza che ha realizzato tra l’altro il 10 cilindri BMW di Formula 1 e il progetto della MotoGp BMW, prima disegnando il propulsore 1000 cc e poi l’intera moto quando il regolamento tecnico fissò la cilindrata massima in 800 cc. Incontriamo Forghieri nella sua bella casa in provincia di Modena. Il soprannome Furia e alcune sue dichiarazioni secche e taglienti apparse in questi decenni sulla stampa nazionale contrastano con la sua reale gentilezza.
L’arrivo in Ferrari
«Ai miei tempi laurearsi era sicurezza di assunzione, basti pensare che quando mi iscrissi all’Università di Bologna, nel 1953, tra tutte le matricole di ingegneria eravamo solo in 600. E c’erano fantastici professori. La mia ambizione era lavorare nel settore aereonautico, ed in particolare avevo contatti con la Northrop. Entrai in Ferrari nel 1959 grazie alla collaborazione che mio papà aveva con il Commendatore (Enzo Ferrari, nda), ma lo consideravo un lavoro a termine; allora c’era come direttore tecnico Carlo Chiti e personaggi del calibro di Vittorio Jano, il mitico progettista dei motori Alfa Romeo da corsa degli anni Venti e Trenta, Gianpaolo Dallara, Giotto Bizzarrini e lo sfortunato Giancarlo Bussi (sequestrato ed ucciso dai banditi in Sardegna nel 1978, nda)».
«Nel 1961 un gruppo di otto dirigenti, tra cui Chiti, decise di lasciare l’azienda in aperta polemica con Enzo Ferrari per fondare la ATS (Automobili Turismo e Sport), una nuova Casa automobilistica che si illudeva di poter sfidare la Ferrari stessa. Enzo Ferrari mi chiamò nel suo ufficio e a sorpresa mi comunicò, in dialetto modenese come s’usava parlare tra di noi, che aveva intenzione di nominarmi responsabile tecnico; avevo 27 anni e mai mi sarei immaginato una proposta simile. Ferrari intuì il mio spavento e disse “non preoccuparti, tu fai il tuo lavoro, al resto ci penso io”. Devo dire che fu di parola, perché in quasi tre decenni mi sostenne sempre».
Enzo Ferrari
«Ho conosciuto tanti industriali che vivevano intensamente l’azienda, ma per Ferrari la sua fabbrica era veramente tutto, e pretendeva dai più stretti collaboratori una dedizione assoluta. Se questo bicchiere blu per Ferrari era rosso, doveva essere rosso anche per noi, non si scappava. Non esistevano sabati, domeniche, ferie o vigilie di Natale. Una volta che andai in vacanza per qualche giorno a Portofino senza comunicarglielo mandò la Polizia Stradale a rintracciarmi. Insomma non era facile, ma d’altra parte Ferrari aveva delle caratteristiche veramente straordinarie, tra le quali la più sorprendente per me era l’intuito: a volte prendeva delle decisioni che a noi tutti sembravano insensate e che poi invece si rivelavano profetiche».
«Una volta gli chiesi come faceva, e lui mi rispose che le cose “se le sentiva”. Io diedi tre volte le dimissioni ma, da buon paterfamilias quale era, seppe sempre trovare le corde giuste per trattenermi, ed in fondo anche io ero conscio che non me ne sarei mai veramente andato, tanta era la stima che provavo per lui. Non a caso nei periodi in cui stava male e non era in grado di guidare l’azienda, sempre più frequenti con l’avanzare dell’età, nelle riunioni strategiche con gli uomini messi ai vertici da Fiat io invariabilmente sostenevo che bisognava prendere la decisione che Enzo Ferrari avrebbe preso in quel momento. Me ne andai solo quando era chiaro che gli rimaneva poco da vivere e non sarebbe più tornato al timone dell’azienda. Ghidella mi chiese di restare per organizzare il dopo Ferrari, ma per me il dopo Ferrari non esisteva».
“Me ne andai dalla Ferrari solo quando era chiaro che ad Enzo rimaneva poco da vivere e non sarebbe più tornato al timone dell’azienda. Ghidella mi chiese di restare per organizzare il dopo Ferrari, ma per me il dopo Ferrari non esisteva”
La sfortuna di Chris Amon
«Il nostro pilota di punta in quegli anni era il neozelandese Chris Amon, il migliore collaudatore con cui abbia mai lavorato. Quando penso a lui mi convinco che nella vita la fortuna gioca un ruolo importante, perché aveva tutte le caratteristiche per vincere un campionato, ma era perseguitato dalla malasorte. Ci sono innumerevoli casi in cui era in testa con margini sensazionali e gli succedeva qualcosa di incredibile: a quei tempi montavamo pompe benzina Bendix, affidabilissime, le stesse che equipaggiavano gli aerei: in Spagna stava dominando quando rimase senza alimentazione; a competizione finita il nostro capomeccanico raggiunse la monoposto, diede una piccola martellata alla pompa e questa riprese immediatamente a funzionare».
«Ricordo lo sguardo di Amon quando vide rientrare la macchina accesa ai box. In Canada gli si ruppe il leveraggio della frizione nuova, staccò comunque Jackie Stewart, ma la coppia conica cedette a pochi giri. Altre volte era un doppiato che gli lanciava un sasso sul radiatore o la gomma che si forava senza preavviso. Nonostante avessimo un pilota così veloce, uno dei pochi che era riuscito a battere Jim Clark nelle formule minori, a vincere gran premi furono sempre i suoi compagni di squadra, come Jacky Ickx. La cosa incredibile era che nei test di durata non gli succedeva mai nulla, solo in gara. E questo continuò anche lasciata la Ferrari purtroppo».
Niki Lauda e il capolavoro 312T
«Niki Lauda è stato forse l’unico pilota ad avvicinarsi ad Amon come sensibilità nel collaudo, ma ciò accadeva solo quando aveva voglia di impegnarsi, cosa che a dire il vero non succedeva sempre. I suoi mondiali furono comunque meritatissimi e lui portò ai massimi livelli la 312, monoposto di cui sono molto orgoglioso. Questo orgoglio nasce dal fatto che per quanto riguarda la Ferrari c’era la convinzione che i motori fossero sempre eccezionali ed i telai scarsi. Questo non era assolutamente vero, ma trovava spiegazione nel fatto che si sapeva che Enzo Ferrari aveva il culto del propulsore: non tutti, ma molti giornalisti, per non irritarlo, lo assecondavano attribuendo i meriti delle vittorie invariabilmente al motore, le sconfitte al telaio. Ciò era motivo di grande frustrazione per i miei telaisti ed aereodinamici; della 312T nessuno poté nascondere che il 12 cilindri contrapposti veniva valorizzato da scelte telaistiche originali ed eccellenti. Una parte del merito per lo sviluppo di questa vettura oltre a Lauda e Regazzoni va sicuramente anche a Merzario».
Il grande talento di Gilles Villeneuve
«A un Gran Premio del 1981 Enzo Ferrari mi telefonò dicendo che avrebbe mandato un motore sperimentale da montare sulla vettura di Villeneuve la domenica mattina. Mi incaricò di dire a Gilles che l’importante era testarlo in gara, per saggiarne la resistenza: era schierato tipo in quinta fila, e gli ripetei più volte il concetto: “Gilles, siamo indietro, non ci interessa il risultato, porta il propulsore fino al termine che dobbiamo capire come va!”. Lui mi rispose certo Mauro, sicuramente, capisco. Al verde superò subito le due monoposto davanti a lui, sfiorandole miracolosamente, e poi cercò un impossibile varco tra quelle successive, decollò sopra le ruote di un avversario e fini contro i tabelloni della prima curva».
«Questo è un aneddoto che ricordo spesso e che ben esprime il carattere del canadese. Rispetto a Lauda che sostituì, un pilota che affrontava ogni corsa pensando al campionato, Gilles considerava ogni gara per se stessa. Lui aveva il piacere fisico della velocità, ed era in questo una vera forza della natura, capace di regalarci vittorie impossibili come quelle di Monaco e Jarama. Nell’ambiente della Formula 1 Gilles era un puro, non ricordo mai nessuno che parlasse male di lui; con Scheckter furono forse la coppia più affiatata che ebbi, ottime persone, ottimi piloti e molto amici tra loro. Villeneuve dimostrò questo suo rispetto rinunciando nel 1979 alle chances che ancora aveva per il titolo evitando di attaccare Jody a Monza, nonostante fosse più veloce».
“Rispetto a Lauda che sostituì, Villeneuve considerava ogni gara per se stessa. Lui aveva il piacere fisico della velocità, ed era in questo una vera forza della natura, capace di regalarci vittorie impossibili come quelle di Monaco e Jarama”
«Arrivammo a Zolder dopo le roventi polemiche di Imola: Gilles era un pilota sicuramente più veloce di Pironi, ma in questo caso era stranamente indietro: decise l’azzardo di rientrare con le gomme da qualifica usate, ed il destino mise sulla sua strada Jochen Mass. Proprio pochi giorni fa riflettevo come Mass, un onestissimo pilota, incise profondamente sul destino della Ferrari, trovandosi coinvolto sia nell’incidente a Zolder sia in un episodio altrettanto fortuito che nel 1976 probabilmente levò il titolo a Lauda, quando in Canada usci di strada e sulla terra portata in pista Niki perse il controllo della vettura. La perdita di Gilles fu un enorme tragedia per tutti noi ed anche per Enzo Ferrari che gli era molto affezionato ricordandogli i piloti della sua epoca come Nuvolari e Moll. Non ho dubbi che data la nettissima superiorità della nostra monoposto di quella stagione Gilles avrebbe vinto agevolmente il mondiale 1982, così come dopo di lui l’avrebbero fatto anche Pironi e Tambay senza gli infortuni che li colpirono».
Il carismatico Mario Andretti
«Se devo proprio fare il nome di un pilota cui sono particolarmente legato tra i tanti, direi Mario Andretti, per il suo carisma, la sua affidabilità e la sua dedizione alla Ferrari. Secondo me è stato l’ultimo rappresentante di una generazione di piloti che correva indifferentemente su qualsiasi vettura: Formula 1, Indy, Sport Prototipi, Can Am. Quando, in quel terribile 1982 ci trovammo alla vigilia di Monza senza un pilota, la decisione fu spontanea: “Chiamiamo Mario!” Lui prese il primo aereo dall’America, arrivò con la sua serena professionalità, salì sulla 126C2 e fece subito la pole position, tra il tripudio generale».
Le BMW di Formula 1 e MotoGP
«La Oral Engineering ha sempre avuto un rapporto molto stretto con la BMW, tanto che fummo in gran parte noi a sviluppare il loro 10 cilindri di Formula 1. Quando decisero di realizzare un motore per studiare se e come entrare in MotoGP fu abbastanza naturale che si rivolgessero a noi, in quanto pensavano di riutilizzare gran parte della tecnologia utilizzata per la Formula 1. Personalmente combattei per realizzare un quattro cilindri, ma non ne vollero sapere e si proseguì sulla strada del tre in linea, ricavato da una sezione del motore di Formula 1. Poi cambiarono i regolamenti e la cilindrata fu portata a 800 cc, ed a questo punto ci chiesero di sviluppare tutta la moto per disputare il mondiale».
«Il prototipo fece qualche sgambata ma poi il progetto venne abortito senza essere mai realmente sviluppato in pista. La decisone di BMW fu legata al fatto che non se la sentirono di disputare contemporaneamente il mondiale Superbike e quello MotoGP, oltre alla Formula 1 che non gli stava dando soddisfazioni. Fu un grande dispiacere per noi e per tutte le persone di BMW che avevano partecipato al progetto, tanto che proponemmo di fare debuttare noi come Oral la moto e lasciare che BMW subentrasse solo in un secondo tempo, ma non furono d’accordo. Io ho una enorme considerazione per BMW, una azienda dove ci sono dirigenti e persone fantastiche, molto coinvolti nel loro lavoro; talvolta sono però troppo bruciati dal desiderio di vincere subito, senza aspettare il necessario rodaggio. Riguardo alla nostra MotoGP, come propulsore sicuramente eravamo in linea con i migliori, per quanto riguarda la ciclistica ovviamente c’era moltissimo lavoro da fare».
«Se ci sono differenze fra progettare moto e auto? Per quanto riguarda il motore, è la stessa cosa, forse nelle moto il cambio ha meno importanza strutturale a causa di forze inerziali diverse e quindi crea meno problemi. Relativamente al telaio, è molto più facile e contemporaneamente molto più difficile per via del minore numero di parametri in gioco. Da spettatore trovo le moto di oggi molto più divertenti delle auto».