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Nell’Olimpo del car-design abitano strani dei, coi capelli ormai bianchi. Marcello Gandini, pur essendo uno dei più grandi, vive su un pendio della montagna, un ex-santuario in cui, secoli fa si è costruito casa e bottega. Un giardino incantato in cui lui sta benissimo, fa entrare pochi estranei e pochissimi giornalisti. Però, a intervalli di dieci anni, capita che conceda un’udienza. E allora è sempre interessante varcare il cancello, perché ci sono molte cose da ascoltare e su cui meditare. E gli si può persino proporre di fare una mostra. Gandini, a differenza di altri dei, non si contorna di simulacri. Sotto il grande ulivo al centro della casa nessuno ha posto statue della Miura, della Stratos o della Marzal. Né di altre meraviglie uscite dalla sua testa. Il venerabile quasi non si ricorda che siano tutte figlie sue.
E’ un tratto di carattere, che non è mai cambiato nel tempo. E più si va avanti, meno lui è disposto a ripetere i soliti racconti. Quello di cui Gandini ama parlare è ciò che non è ancora riuscito a creare, dell’oggi e del domani. Cercando di seguire questo spirito abbiamo lavorato alla mostra che raccoglie le sue automobili più importanti e un po’ di aneddotica, ma anche idee meno celebrate, o mai prodotte, a cui Gandini riconosce un valore altrettanto alto. Non solo il progettista delle auto da sogno, ma quello delle utilitarie, delle comode berline, delle motociclette e degli elicotteri. Persino quello della fabbrica “che non c’è” e dei nuovi modi di produrre.
Il giovane Marcello non sarebbe diventato Gandini e Bertone, forse, non sarebbe diventato un mito dell’automobile, se due uomini eccezionali non si fossero incontrati. Nel 1966 la carrozzeria di corso Trapani ha già cinquant’anni e Nuccio, figlio del fondatore, vuole trasformarla in una grande industria. Produce per Alfa Romeo e per Fiat le vetture che i colossi non riescono a costruire in proprio. Ma è lo stile Bertone che fa la differenza. Da sempre Nuccio ingaggia i migliori, quelli che osano, che guardano avanti. Li tratta come figli. Ecco perché, dopo gli anni di Giugiaro, Gandini viene riconosciuto come il progettista del nuovo, del mai visto, il talento su cui scommettere. Marcello, dal canto suo, la prima cosa che fa per Bertone è la Miura. Difficile, a quel punto, mettergli dei limiti. Rimarranno insieme per quattordici anni.
Il genio si nasconde particolarmente bene in casa. Una casa-bottega di un certo confort, che lui ha iniziato a costruirsi appena ha potuto. Appena è diventato “un’azienda che cammina”. Questo lavorare in solitudine, dovendo occuparsi dei dettagli come delle scelte cruciali, fa parte dello spirito di Gandini. Un metodo (lui dice anche una “necessità”) che lo ha accompagnato per metà della vita.
Non bisogna però fraintendere: Marcello ha sempre avuto ottimi collaboratori e chi ha fatto parte della squadra, alla Bertone o nel suo studio privato, conserva ricordi preziosi. I rapporti umani con i fornitori, così come con i clienti, dalla fase di briefing a quella di presentazione, hanno sempre avuto per lui la massima importanza.
Il “Buen retiro” a trenta chilometri da Torino è nato alla metà degli anni ’80. Tre anni di cantiere per restaurare una villa settecentesca, a sua volta parte di un monastero molto più antico. In un’ala del chiostro il designer ha ricavato un grande studio a “L”, che abitualmente contiene i tavoli da disegno esposti in mostra con spazio sufficiente per ospitare i modelli.