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Il nome della nuova Alfa Romeo Milano ha appena acceso una querelle che vede coinvolti addirittura due ministri e il CEO del Gruppo Stellantis; la legge sulla protezione dei nomi del 2003 pone dei limiti a quanto si può usare nei commerci (ricordate il Parmesan?), solo che qui non siamo di fronte a degli imitatori cinesi. Il realtà il nome Milano, come sanno bene gli Alfisti, era già comparso nell'onomastica di Arese con la versione per gli Stati Uniti della 75 3.0 V6.
Sarebbe stato meglio scegliere altrimenti nel ricco pool di nomi che il marchio milanese ha nel suo portafoglio? Gli esempi non mancano, e anche fortunati. Abbiamo chiesto ad un esperto - il professor Vittorio Montieri dell'Università di Padova - perché certi nomi del passato ritornano e come sfruttare al meglio la loro fama.
di Vittorio Montieri - Università di Padova
"La novità è che oggi il revival riguarda soltanto il nome e non il modello di auto, come invece è accaduto qualche anno fa con la Cinquecento, la Mini, il Maggiolino, auto progettate dal genio dei grandi designer prima dell'avvento delle ricerche di mercato. Queste, affidandosi al gusto conservatore dei guidatori, hanno appiattito la produzione su linee prive di originalità.
Le ragioni del fenomeno revival? Credo di siano di varia natura, la principale ha a che fare con la forte competizione che va accendendosi nel settore. Con l'ingresso sul mercato europeo e americano di marchi debuttanti o comunque sconosciuti, per lo più provenienti dall'estremo oriente e per lo più nelle motorizzazioni elettriche, parecchi brand sfruttano il nome di prodotti che hanno segnato un'epoca del recente passato per sottolineare quel patrimonio di storia e tradizione che i nuovi arrivati non possono vantare, il cosiddetto "heritage".
È un elemento di continuità: in fondo anche al nipote viene spesso dato il nome del nonno. In qualche modo il nome fa da chaperon al nuovo prodotto nel momento della sua introduzione sul mercato. Entra poi in gioco il nostalgia marketing, una tecnica e una tendenza che attraverso il revival di marche e prodotti, o nel nostro caso delle sole denominazioni, fa leva sulle emozioni legate ai ricordi e sul potere attrattivo che esercitano: negli adulti perché magari rievoca un desiderio un tempo inaccessibile che con l'età ci si può economicamente permettere; nei giovani perché sono vittime più delle generazioni che le hanno precedute della passione per tutto ciò che è vintage, retrò.
Non ultimo, nel caso di auto iconiche, come piace tanto dire oggi, c'è un fattore beneaugurante: la speranza di ripetere il successo avuto. O quantomeno la certezza di poter contare, al momento del lancio, su una base di familiarità, e spesso di affetto e simpatia; molto diverso dal doverla costruire da zero con un nome tutto nuovo che in partenza non evoca nessuna sensazione.
In fin dei conti, riutilizzare il nome di un prodotto testimonia il fatto che è diventato marca - è diventato cognome verrebbe da dire - e come tale si può applicare anche a nuovi articoli: un po' come le Stan Smith o le Air Max si sono emancipate da Adidas o Nike o la Panda, che è in pratica diventato un brand nel brand. A quando allora la nuova Alfetta, la nuova Croma o la nuova Ritmo?".