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Limiti sempre più bassi CO2: la verità sulla lobby chi li vuole imporre
Le normative sulle emissioni e sulla produzione di CO2 costringono noi cittadini a cambiare auto e moto sempre più spesso, con dubbi benefici sull'ambiente. Ora anche l’industria dell’auto, che in principio spingeva, dice basta. Ma allora chi li vuole davvero? Facciamo un po’ di chiarezza.
Innanzitutto va ribadito che le auto e le moto in vendita oggi inquinano poco, pochissimo. I più grandi progressi sono stati introdotti con l’avvento delle prime automobili rispondenti alla normative più severe in materia di emissioni inquinanti (in particolare l’Euro 2 del 1995 e l’Euro 3 del 2000).
Nel 2014 scatterà la normativa Euro 6 per le omologazioni di nuovi modelli, che renderà il livello delle emissioni e della produzione di CO2 ancora più basso. Ma a partire dalla fine degli anni ’90 tanto è stato fatto, al punto che oggi chi studia la qualità dell’aria che respiriamo afferma con certezza che imputati dell’inquinamento atmosferico sono in primis le industrie e il riscaldamento domestico.
Ma allora chi insiste con forza nella Comunità Europea affinché si introducano limiti ancora più restrittivi? Chi sostiene l’urgenza di arrivare a 95 g di CO2 entro il 2020, a 68g/78g entro il 2025?
Il costo industriale è insostenibile per le stesse Case automobilistiche
Pare pazzesco, ma non sono le Case automobilistiche a fare pressioni sulla Comunità Europea perché approvi nuovi, ulteriori limiti. Non sono loro, cioè, a volere che i cittadini cambino auto sulla spinta di motivazioni ecologiste.
Anzi, l’ACEA (che raggruppa i costruttori europei di auto) afferma con forza che i nuovi limiti di CO2 danneggiano l’industria del Vecchio Continente, penalizzata fortemente nel confronto con i rivali americani e asiatici, soggetti a limiti assai più blandi.
Ivan Hodac, segretario generale dell’ACEA, teme l’incremento dei costi di produzione e quindi dei prezzi finali al consumatore, che potrebbero danneggiare un comparto che oggi dà lavoro in Europa a milioni di persone (oltre 11,5 milioni). Va inoltre valutato seriamente l’inquinamento ambientale prodotto dal frequente ammodernamento dei siti industriali di produzione delle nuove autovetture.
“Sono i fornitori di tecnologie e servizi all'industria dell’auto a spingere sull'acceleratore di emissioni sempre più contenute”
Le auto progettate e costruite in Europa denunciano già oggi bassissimi livelli di emissioni; le richieste politiche di Bruxelles risultano immotivate sul piano tecnico e di difficile attuazione – a costi ragionevoli – per l’industria. Eppure qualche fornitore tedesco di tecnologie e di servizi, molto bene introdotto nei palazzi del potere, preme affinché vengano adottate misure maggiormente restrittive.
I fornitori esterni reputano i livelli fissati per il 2025 facilmente raggiungibili
Sono i fornitori di tecnologie e servizi all'industria dell’auto a spingere sull'acceleratore di emissioni sempre più contenute. Fornitori che, guarda caso, sono proprio tedeschi e godono di grande credito presso la Commissione Ambiente della UE.
Per comprendere meglio la situazione odierna, vi diamo un elemento che sgombra il campo dai dubbi: l’azienda tedesca leader in questo settore è convinta che l'obiettivo fissato dall'Unione Europea per le emissioni e la produzione di CO2 dei veicoli entro il 2020 (pari a 95 grammi di CO2 per km) sia tecnicamente raggiungibile, oltre che necessario.
Mentre dunque, tramite un comunicato diffuso nei giorni scorsi, da una parte l’ACEA si mostra scettica e chiede di modulare diversamente e in maniera più morbida l’ulteriore abbattimento delle emissioni e della CO2 (già davvero basse oggi, ci teniamo a ribadirlo), dall'altra un altro comunicato, quasi contemporaneo della Bosch, il principale fornitore europeo di sistemi di iniezione (31,1 miliardi di euro il suo fatturato nel 2012), riconosce vi sia un potenziale tecnico concreto per ridurre ulteriormente le emissioni e la CO2.
Fondamentale è il lavoro degli organismi sovranazionali deputati a decidere su questa delicata materia: loro compito dev’essere promuovere e tutelare il bene della collettività, non di singoli gruppi di potere economico.