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Quando meno te lo aspetti, accade. Accade che il tuo zio, quello che meglio conosci perché vive vicino a te; quello ti ha accompagnato per alcune funzioni religiose sin da piccolo; quello che veniva, o meglio andava sempre in Autodromo a ogni weekend di gara, “cascasse il mondo”… Tutto d’un tratto, non c’è più.
Poco conta, se scoppiava di salute fino all’altro ieri. Se pur prossimo ai 70 aveva ritmi di lavoro e movimento anche serale che tu, li avevi abbandonati superando i 40. Il Coronavirus è quanto di più indefinibile ci sia, specie quando in pochi giorni si porta via una persona cara. Sprecare aggettivi per un male che oggi, per mezzo mondo è “il male”, non serve. Come non serve sempre la statistica, per pensare di comportarsi ignorandolo, quel male invisibile che prova ad azzerare anche le passioni; a rivoluzionarci la mobilità e il settore auto per intero.
Quando era bambino lo zio saliva sui trattori e sulle macchine agricole dei nonni. Non lo raccontava, ma lo sapevo come sapevo che appena poteva, li guidava anche “de sfross”. Lui che a scuola ci arrivava passeggero seduto sul sidecar della nonna, ovvio che fosse abituato e sentir girare quei cilindri oggi troppo inquinanti. Su e giù per campi senza troppe curve da fare, ma i motori del dopoguerra in Italia, per fortuna, erano anche altri e più divertenti per un teenager. E allora ecco le prime Vespa e Lambretta, per divertirsi e andarci anche a lavorare, da ragazzo.
In età da patente poi arrivano classiche auto "disponibili" al tempo come 500 e sorelle maggiori, di casa Fiat. Fino alla 124 che un suo amico oggi mi ricorda, lo facesse apparire in allestimento "Elegant... Come i pantaloni che si faceva fare dal sarto in via Manara".
Passano gli anni e da bambino però, vedevo altro di più interessante: la sua BMW Serie 3 E21 parcheggiata con quel fascione orizzontale e il marchio, in grande evidenza, dietro. Un po’ tamarro diremmo oggi, a contrasto del panna spento in voga allora per le carrozzerie. Ma la vera tamarragine, anche se non lo era, arriva dopo, con la prima VW Golf I, nera. È l’auto che va e viene sotto il balcone con quelle tre lettere, che i tedeschi sfodereranno a oltranza sino a oggi. Poi lo zio, ritorna sull'Italia con la mitica Croma top di gamma Fiat (Serie 154, la cugina di Alfa 164 e Lancia Thema). Infine, un po’ tardi ma non quanto il nipote, "mette la testa a posto" e passa alle vetture familiari, le Station. Servono anche per lavoro, anzi soprattutto per quello, caricandone il vano dietro e anche per la praticità non le abbandonerà più.
Tanti, tantissimi chilometri su quegli odometri analogici prima e digitali poi. Motori ovviamente diesel, VM che frullano e invero fumano anche, ovunque nel Nord Italia. Auto semplici da italiano che lavora e quindi rigorosamente Fiat: Regata Weekend, Tempra SW a go-go, nei restyling fino alla Marea WE. Quindi il passaggio al mondo asiatico, Toyota sempre familiari come le Avensis, che si susseguono. Consumate anche loro, ma solo in ogni materiale di usura, mentre le altre qualche lavoretto in più, lo davano.
Età da pensione, solo sulla carta e si mantiene il segmento non ascoltando i consigli di un nipote che “Macchina” considera altro tipo di vettura, potendo. Lo zio poteva anche, magari, ma avanti con le wagon, questa volta del gruppo coreano. Solo lo scooterino aggiunto, per le uscite come i ragazzini, d’estate. Di certo anche al Ferrari Club. E via di Hyundai, di Kia. Le varie generazioni fino all’ultima. Verso i 70, ce lo concediamo un ritorno a qualcosa che non sia, come si diceva ai tempi “un carro funebre”? Ironia del destino, doveva arrivare proprio quello invece, nel 2020 (se arriva, visti i tempi e una Lombardia in ginicchio, che non può nemmeno far funerali come norma e manda defunti a cremare, fuori regione).
Aveva scelto l’ultimo SUV ibrido dei coreani lo zio, mollando lo scooter 2T per una bici a pedalata assistita, quella che oggi non è solo dei pensionati. Lo avrebbe preso a breve, anche se sotto sotto una bella Porsche Macan… Mi chiedeva ogni tanto cosa ne pensavo a quanto la si portava a casa, usata.
Ecco, l’ultimo viaggio, pochi chilometri con l’ospedale. Quelle mura di un Parco amico e vicino con dentro l’autodromo, frequentatissimo. Le infinite volte nei paddock, anche della dorata F1, a confrontarsi con persone anche più giovani che poi sempre mi chiedevano di lui. Quella passione con tifo che io certo, mai ho avuto. Era tutto forza Ferrari e Forza Milan, lo zio che aveva anche fatto il portiere da giovane. Lo zio che tornava tardi dopo di noi ragazzi anni Novanta la sera, con quelle wagon che i miei amici temevano (perché poteva “cazziarli” se facevano qualcosa che non si deve, la notte).
Adesso chissà, se senza dover pagare Sky o chiedere Pass sempre più limitati, può vedersi belle gare live con gente che seguiva e se ne è andata troppo presto, come lui. Villeneuve, Alboreto, passando per Senna anche se non guidava una Rossa e ovviamente lo Schumi pilota.
Tra poco spostiamo quella wagon coreana l’ultima volta, togliendo il cappellino di un team, i vecchi pass dell’autodromo rimasti, a testimoniare una vita che come altre, in pochi giorni si spegne ma non senza lasciare un messaggio positivo e di speranza: oltre il 2020 c’è ancora vita e sarà pur diversa ma ugualmente ricca. Anche di ricordi, come quelli in foto che vedo sui profili social dei suoi vecchi amici, ma soprattutto di rinnovata passione umana, come sempre è esistita e si rinnoverà.