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Motor Show di Bologna – Nel cuore della cosiddetta “Motor Valley”, Lamborghini gioca in casa...e per suggellare il proprio legame con la terra nativa ha colto al volo l’occasione della 36esima edizione della celebre kermesse automobilistica bolognese per far toccare con mano, in pista, le potenzialità di Gallardo LP 570-4 Super Trofeo Stradale, Gallardo LP 570-4 Spyder Performante, Gallardo LP 560-4 Bicolore e Aventador LP 700-4.
La rosa d’offerta è di quelle ghiotte, ghiottissime, una di quelle tentazioni il cui solo modo di resistervi – come puntualizzato da Oscar Wilde - è cedervi. Una vocina interiore ci suggerisce di gustarci un’esperienza taxi su ognuna delle supercar del Toro presenti, ma il Babbo Natale di Sant’Agata Bolognese ci dice che nel suo sacco dei doni c’è posto per un solo ritaglio di paradiso.
Rompiamo quindi gli indugi creati da questa invitante “scatola di cioccolatini” e compiamo la nostra scelta, che per la serie “trattiamoci male”, ricade sul top di gamma: la Aventador.
Settecento cavalli, seicentonovanta newton metro di coppia massima, propulsore 12 cilindri a V di 60° da 6.498 cc. Queste le credenziali stampate a caratteri cubitali sul biglietto da visita della Aventador LP 700-4, che si presenta così a noi ancor prima di “stringerci la mano” ricordandoci con
chi abbiamo a che fare.
Se ancora non bastassero questi dati per capire di che genere di automobile stiamo parlando, possiamo dire che la LP 700-4 è in grado di raggiungere una velocità massima di 350 km/h e di scattare verso i 100 km/h con partenza da fermo in soli 2,9 secondi (praticamente come una moto o come una F1 che dir si voglia).
Non vi basta ancora? Aggiungete allora ai numeri appena elencati un cambio robotizzato ultraveloce a sette rapporti, un telaio monoscocca in fibra di carbonio realizzato con un processo di lavorazione di tipo aeronautico e delle sospensioni derivate dalla Formula1 e capirete quanto questa vettura sia in realtà una vera e propria astronave su quattro ruote.
L’emozione al pensiero di salire a bordo di una supercar di questo calibro cresce in noi mentre gli uomini di Sant’Agata Bolognese ci conducono verso l’enorme box della Mobil1 Arena, dove le Lambo riposano tranquille in attesa di mostrarci tutto il loro esuberante potenziale.
Cauti ci avviamo a prendere contatto con la supersportiva del Toro, che ci attende in una accattivante livrea nera lucida nel silenzio di un’aria che sarà presto dilaniata dal tuono dei propulsori a V. La costeggiamo e ci apprestiamo a salire a bordo passando al di sotto delle iconiche portiere Lamborghini che scorrono all’insù e subito notiamo quanto l’ambiente circostante, più che quello di un’auto da corsa, ci ricordi quello di un jet fighter F22 Raptor, con un abitacolo dominato da tunnel centrale in metallo pervaso dai comandi di stampo aeronautico a separare gli unici due posti disponibili a bordo, ed una strumentazione gestita dal sistema HMI collocata immediatamente dietro ad un volante ovviamente dotato di paddles di cambiata e di tutti i controlli del caso.
Ecco che d’improvviso si apre però anche l’altra portiera, quella del lato guida, e mentre ci infiliamo il casco e ci allacciamo le cinture ci accorgiamo di avere al fianco un pilota d’eccezione: Giorgio Sanna, capo collaudatore del brand del Toro nonché Campione in carica del campionato italiano GT CUP. Stretta di mano, convenevoli e via si parte. Una leggera pressione sul pulsante di accensione ed il suono roco del V12 inizia a pervadere l’abitacolo, mentre percorriamo i box diretti verso la corsia esterna per allinearci dietro alle Gallardo che ci precedono.
Giorgio scalda lievemente il motore mentre attendiamo il via libera per entrare nella Mobil1 Arena: l’attesa, che diviene spasmodica, è alimentata da una voce cupa la cui sonorità bassa si fa preludio di quello che diverrà poi un ruggito dirompente.
Il via libera non tarda ad arrivare e la Aventador inizia a scaricare a terra tutta la furia dei sui 700 CV, mentre i 690 Nm di coppia vengono trasmessi al suolo dall’enorme impronta degli pneumatici da 255/35 ZR19 all’anteriore e 335/30 ZR20 al posteriore che quasi arricciano l’asfalto.
L’accelerazione percepita a bordo è di una forza senza eguali: l’erogazione del dodici cilindri Lamborghini è talmente brutale da schiacciarci con forza contro il sedile attraverso una pressione
sullo stomaco forte, anzi fortissima.
Tanta veemenza motoristica è inoltre corrisposta da un assetto a dir poco granitico: la “Lambo” balza da una curva all’altra ad una velocità inaudita e senza perdere un minimo di aderenza. Assetto e trazione integrale fanno percepire tutta la vocazione sportiva di questa automobile: tradotto significa che con la Aventador più si va forte, più si può andar forte da tanto che la precisione globale della vettura risulta demarcata in fase di percorrenza.
Se è vero però che da una supercar non ci aspettavamo nulla di meno nelle esse repentine, è altrettanto vero che ci attendevamo invece almeno una lieve perdita di aderenza al retrotreno nel curvone raccordato a 180°: niente da fare, anche qui la LP 700-4 dimostra tutta la bontà della sua filosofia progettuale, con telaio baricentro e sospensioni push-rod che lavorano in sintonia per concorrere al risultato finale, ovvero l’eliminazione delle perdite di tempo nella ricerca della massima performance.
Ogni elemento sulla Aventador è infatti pensato per ottimizzare il comportamento dinamico della vettura, e questo risulta evidente se si osservano le “Lambo” da bordo pista: dove infatti la Gallardo presenta alcune lievi difficoltà nel far seguire alle ruote posteriori la linea tracciata da quelle anteriori, la Aventador si dimostra invece pulita e precisa nel percorrere le stesse traiettorie con la stessa “decisione” di inserimento delle consanguinee LP 570-4 ed LP 560-4.
L’uscita dal curvone è decisa, e tutta la forza motrice sviluppata dal propulsore ci restituisce la sensazione dello stomaco in rapida ascesa verso la gola accennata poc’anzi mentre ci avviamo ad iniziare il secondo ed ultimo giro. I 620 metri di asfalto dell’area esterna calzano però molto stretti alla Aventador, che in un tempo di 1’14” di metri ne divora 1.240.
Lo stridente suono di una sirena contrasta con il tuono del V12 e sancisce la fine dei nostri due giri in paradiso. E’ ora di rientrare ai box e di restituire la “Batmobile” e soprattutto di affrontare la parte più ardua di questa giornata: risalire sulla nostra auto e tornare in Redazione.