La storia che nessuno vi racconta: il doppio braccio di ferro tra l'Ue, Pechino e... le case automobilistiche cinesi

La storia che nessuno vi racconta: il doppio braccio di ferro tra l'Ue, Pechino e... le case automobilistiche cinesi
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C'è un risvolto ancora poco noto nei rapporti fra Europa e Cina: le Case costruttrici vorrebbero "invaderci" ma il loro Governo non è proprio dello stesso parere
15 gennaio 2025

Si fa sempre più complessa la partita economica tra l'Unione europea e la Cina sul fronte delle auto elettriche. Diversi marchi del Dragone hanno iniziato a costruire da zero o a rilevare vecchi stabilimenti in Europa per costruire i loro veicoli in loco ed evitare così la scure delle sanzioni varate da Bruxelles sulle quattro ruote made in China. Gli esempi non mancano: Chery ha puntato su Barcellona, MG sulla Gran Bretagna mentre Leapmotor, che già produce a Tychy, in Polonia, aveva a lungo messo nel mirino il sito Stellantis di Eisenach. Naufragato in alto mare, almeno per il momento, il piano di Dongfeng, che sembrava potesse flirtare con l'Italia. In un contesto del genere, e nel bel mezzo della vulgata comune secondo cui l'Ue sarebbe invasa da auto cinesi, i player di Pechino stanno in realtà preparando per l'Occidente un piano più piccolo di quanto non si possa pensare. Il motivo è duplice: da un lato il Vecchio Continente è abitato da clienti esigenti e forti produttori nazionali; dall'altro le vendite delle car cinesi si parla molto, ma faticano a decollare. Basti pensare che nei primi dieci mesi del 2024, in Europa, tutti i brand d'oltre Muraglia mettevano in fila 281.287 mezzi piazzati per una quota di mercato di appena il 2,6% (volete un confronto? Nissan, da sola, occupa il 2,4%).

Le case automobilistiche cinesi in Europa: un falso problema?

Altro che invasione o vendite in ascesa: i brand cinesi faticano, o meglio hanno faticato più del previsto, a ritagliarsi uno spazio in prima fila nel palcoscenico europeo delle quattro ruote. La colpa, come anticipato, è dell'atteggiamento dei clienti europei, ma anche e soprattutto delle crescenti tensioni commerciali che separano Bruxelles da Pechino. La maggior parte delle vendite cinesi in Europa sono attribuibili a MG, ma anche in questo caso la crescita si sta indebolendo notevolmente: dopo aver registrato un'impennata del 104% nel 2023, nell’ottobre 2024 il guadagno è sceso all’8,6%. E ancora: le auto elettriche di Geely, rappresentata nel Vecchio Continente dai Polestar, Lynk & Co. e Zeekr, sono soggette a una tariffa del 18,8%, mentre quelle di BYD a una del 17%. La soluzione del Dragone consisterebbe, dunque, nel produrre le sue automobili direttamente in Europa. Non solo perché, così facendo, quei veicoli sarebbero made in Eu e non più made in China – con tanti saluti alle sanzioni – ma anche per un'altra ragione. Aprire  fabbriche locali aumenta significativamente l’accettazione dei produttori nel rispettivo mercato, come dimostrano le esperienze dei marchi giapponesi e sudcoreani in Europa.

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La contromossa di Pechino

Questa è però soltanto una parte del braccio di ferro lungo l'asse Pechino-Bruxelles. Già, perché da qualche mese il governo cinese ha iniziato a frenare gli investimenti dei suoi brand in Europa. Se dal punto di vista dei produttori cinesi esistono moltissime ragioni per costruire impianti nel Vecchio Continente, le autorità del Dragone la pensano diversamente. Sembra un paradosso, ma pare che la leadership del Partito Comunista Cinese non sia più particolarmente interessata a produrre in Europa: preferirebbe, semmai, sfruttare l'eccesso di capacità di veicoli accumulati in patria attraverso le esportazioni. I dazi complicano tutto, è vero, ma probabilmente la strategia di investire nel territorio europeo non convince del tutto la Cina (almeno in questa particolare fase geopolitica). Non è un caso che il gigante asiatico abbia iniziato a esercitare pressioni sulle sue stesse case automobilistiche per frenare la loro voglia di stabilirsi in Ue. A vederla col senno di poi, non è che i dirigenti cinesi hanno riavvolto il nastro e si sono accorti di cosa è successo (e sta ancora succedendo) ai brand europei che hanno delocalizzato in Cina? Tecnologia produttiva "svenduta", intelligence e competenze esclusive, anni di ricerca e sviluppo regalati al "nemico"?

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