La Fiat di Romiti, il caccia libico e il DC9 di Ustica: una indagine ancora nel mistero

La Fiat di Romiti, il caccia libico e il DC9 di Ustica: una indagine ancora nel mistero
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Andiamo indietro negli anni della Fiat, quando nel capitale della Casa torinese c'era nientemeno che il ledaer libico Gheddafi, e il grande capo era Cesare Romiti, intervistato nel 2011
3 gennaio 2025

Chissà se in qualche polveroso ufficio del Lingotto conservano ancora qualche misterioso faldone su l'affair che legò la Fiat di Gianni Agnelli e Cesare Romiti e la dittatura del Colonnello Mu'ammar Gheddafi. Di sicuro i ricordi di quel concitato periodo nella storia di Fiat sono ben impressi nella memoria di Cesare Romiti, che nel 2011 ha rilasciato una dettagliata intervista al Corriere della Sera (a firma di Raffaella Polato) con il suo parere sulla vicenda che ha visto il DC9 dell'Itavia (81 morti) coinvolto in una battaglia nei cieli per uccidere il leader libico.

 

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Facciamo un passo indietro, al 1970: Gheddafi promulga un atto di confisca per tutti i beni italiani in Libia che alla fine è in sostanza un decreto di espulsione per 20.000 persone. Nel 1976, colpo di scena, il Colonnello entra a far parte dell'azionariato di Corso Marconi con il 10%, successivamente innalzato al 15%: una vera e propria ciambella di salvataggio per una Fiat in gravissime difficoltà, attuata attraverso i buoni uffici di un personaggio che era stato direttore generale in Fiat, Nicolò Gioia che riferisce a Romiti (diventato amministratore delegato proprio nel 1976) della volontà dei libici a entrare nel capitale. La faccenda è molto delicata anche sul piano geopolitico, tanto che Gianni Agnelli sente il bisogno di consultarsi con Georg W. Bush senior, allora capo della CIA, che assecondò l'operazione, avvallata anche dall'allora Governatore della Banca D'Italia Carlo Azeglio Ciampi.  

 

Nonostante i soldi libici, nel 1980 le cose vanno molto male e infatti Umberto Agnelli, che affiancava l'Avvocato nella conduzione del gruppo, annuncia il licenziamento di 15.000 lavoratori. È l'anno della "marcia dei 40.000" e a giugno, il 27, il DC-9 esplode in volo sopra Ustica e una ventina di giorni dopo un MIG-23 libico viene trovato sui monti della Sila. Cesare Romiti afferma di aver chiesto chiarimenti ai due rappresentanti del governo libico (Abdullah Saudi e Regeb Misellati) che facevano parte della Lafico, la società che aveva le partecipazioni in Fiat "Temevamo tutti fosse stato un missile. Uno sconfinamento, una battaglia segreta nei cieli, l’arma che parte e colpisce l’aereo civile. Ne parlammo. Mi rassicurarono, ma qualche settimana più tardi Misellati mi chiamò perché volevano i resti dell'aereo libico della Sila".

 

Una foto del 1980 dei resti del MIG 23 caduto sulla Sila
Una foto del 1980 dei resti del MIG 23 caduto sulla Sila

Dopo tanti anni, ancora non è stato chiarito se il MIG-23 libico fosse o meno coinvolto nella strage di Ustica, visto che le data esatta della caduta sulla Sila non è mai stata accertata definitivamente, ma sta di fatto che Cesare Romiti si propone di aiutare gli "amici" libici" (che aveva definito "corretti come banchieri svizzeri)" va dall'allora direttore del Sismi, il servizio segreto militare, il generale Giuseppe Santovito, iscritto alla Loggia massonica P2 chiedendo di intercedere per la consegna alla Libia dei resti del velivolo, cosa che venne fatta solo parzialmente. Il manager italiano era di certo molto preoccupato del fatto che venisse alla luce uno scandalo sempre negato dai servizi segreti francesi, ovvero che il DC-9 Itavia sarebbe stato colpito da un missile lanciato per abbattere un aereo su cui viaggiava Gheddafi e disse apertamente agli inquirenti che Gheddafi "gli rompeva le palle...".

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