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La guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti si inasprisce e, questa volta, rischia di avere ripercussioni pesantissime sull’automotive elettrico globale. Pechino ha infatti sospeso l’export di metalli rari e magneti permanenti, bloccando di fatto le forniture di componenti essenziali per la produzione di veicoli elettrici, batterie, motori e sensori. Un colpo diretto a marchi come Tesla, Stellantis, Ford e Rivian, che basano gran parte della propria catena di approvvigionamento proprio sulle terre rare cinesi.
L’annuncio è arrivato nei giorni successivi alla decisione del presidente Donald Trump di alzare i dazi sulle importazioni cinesi fino al 54%, provocando la reazione di Pechino che, secondo quanto riportato dal New York Times, ha bloccato le spedizioni da numerosi porti. Il provvedimento riguarda sette categorie di terre rare fondamentali per il settore automobilistico: samario, gadolinio, terbio, disprosio, lutezio, scandio e ittrio, impiegate nei motori elettrici, negli inverter, nei magneti delle batterie e nei sistemi di guida autonoma.
Il problema è globale: benché la misura sia una risposta agli USA, lo stop temporaneo si applica a tutte le esportazioni, lasciando anche l’Europa senza scorte. L’automotive rischia un vero e proprio collo di bottiglia nella produzione, proprio in un momento in cui molti gruppi – da Toyota a Mercedes, da Hyundai a GM – stanno accelerando sulla transizione elettrica. Alcuni analisti parlano di “tempesta perfetta”, visto che già nel 2024 il settore ha affrontato ritardi nelle consegne, aumento dei costi delle batterie e carenze di semiconduttori.
Tesla è tra i gruppi più esposti, avendo una supply chain fortemente legata a fornitori cinesi per magneti e batterie. Ma anche Stellantis, con numerose joint venture attive in Cina, potrebbe trovarsi presto a corto di materiali strategici per i nuovi modelli elettrici prodotti in Europa e Nord America. A rischio ci sono anche le forniture per le versioni ibride della Fiat Grande Panda e della Jeep Avenger, entrambi in fase di espansione nel 2025.
In questo contesto, emergono nuove strategie industriali difensive: alcune case automobilistiche stanno valutando la rilocalizzazione della produzione di componenti chiave, mentre i governi occidentali accelerano i piani per la creazione di filiere indipendenti. Tuttavia, secondo gli esperti, ci vorranno almeno cinque anni per rendere operative nuove miniere o impianti di raffinazione in Europa e Stati Uniti.
Lo stop cinese, pur non configurandosi come un embargo totale, è destinato a diventare una leva geopolitica a lungo termine, con Pechino pronta a gestire le licenze di esportazione in modo selettivo. Il rischio è quello di una crisi industriale e logistica per l’intero comparto EV occidentale, con ricadute su listini, consegne e occupazione.