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Per ora è una "sospensione" delle inserzioni pubblicitarie, ma la decisione della General Motors, diretta concorrente di Tesla negli USA lascia già un segno: se Elon Musk è proprietario di Twitter - oltre che di Tesla - "Vogliamo capire quale direzione prenderà il social" hanno detto i responsabili della GM ad una intervista con CNBC. Anche la Ford, che dice di non aver mai utilizzato Twitter per pubblicizzare le proprie auto (ma qualcuno ricorda in passato delle "promozioni" del CEO Jim Farley) dice che al momento è attivo solo un canale di assistenza dei clienti, non pubblicitario.
La pubblicità dei più importanti brand in ogni campo costituisce il 90% dei guadagni di Twitter e se il fenomeno dell'abbandono dovesse dilagare, è probabile che nessuno voglia prendere il posto di quelli che lasciano, dicono gli analisti. Alcuni dei marchi che sono stati temporaneamente "sconsigliati" dai propri centri per la pubblicità ad usare Twitter sono dei veri giganti: American Express, Coca-Cola, Johnson & Johnson, Levi Strauss, Spotify.
Non era mai successo in precedenza che un carmaker, o meglio una "Energy Company" come è definita Tesla, diventasse anche proprietaria di un social media, che è un formidabile canale di contatto con i clienti, e che quindi potrebbe condizionare le informazioni e svolgere un'opera di persuasione vastissima , ma la principale preoccupazione degli inserzionisti è che venga meno la cosiddetta "brand security", ovvero che la piattaforma sia aperta in modo indiscriminato a tweet provocatori o non moderati in nome della libertà di espressione. E qualcuno ha detto anche che smetterà di fare pubblicità se Donald Trump venisse "riabilitato". Nel frattempo l'annuncia di una quota di 20 dollari per la "spunta blu" (la verifica dell'account) e il licenziamento della metà dei dipendenti a partire da domani ha scatenato la bagarre.