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Nel 1961 il regolamento di Formula Uno è cambiato; le precedenti vetture di 2500 cm3 sono state sostituite da nuove monoposto con motori di 1500 cm3. I cavalli a disposizione erano pochini per una “classe regina” e le auto non proprio esaltanti in fatto di dimensioni. Molti hanno storto il naso e in effetti che questa non sia stata una scelta felice è anche dimostrato dal fatto che la nuova formula è rimasta in vigore soltanto fino al 1965. In tale periodo su cinque mondiali i motori V8 ne hanno vinti quattro…
Nel 1961 i costruttori inglesi non erano ancora pronti, diversamente dalla Ferrari, che ha schierato le sue nuove realizzazioni azionate da un motore a sei cilindri potente e affidabile, addirittura disponibile in due versioni. La prima derivava direttamente dal Dino di Formula Due del 1957, aveva un angolo tra le due bancate di cilindri di 65°, sette supporti di banco e un albero a gomiti con sei perni di manovella. La seconda, progettata dall’ing. Chiti, era a V di 120° e aveva l’albero con tre perni di manovella, su ciascuno dei quali erano montate due bielle. I supporti di banco erano quattro. Si trattava quindi di una versione più leggera e con il baricentro spostato più in basso. La potenza che forniva era leggermente più elevata di quella erogata dal V6 a 65° (circa 190 cavalli contro circa 180). Quasi tutta la stagione, conclusasi con la conquista del titolo mondiale da parte dell’americano Phil Hill, è stata corsa con il motore a 120°. Tra le caratteristiche tecniche di maggiore interesse vanno segnalate le canne dei cilindri riportate in umido, le punterie “tipo Jano” (a piattello, con codolo filettato che si avvitava direttamente sullo stelo valvola) e la doppia accensione, largamente impiegata all’epoca sui motori italiani da competizione. I quattro alberi a camme (due per ogni testa) erano azionati da due catene a rulli. L’alesaggio di 73 mm era abbinato a una corsa di 58,8 mm. Le valvole erano due per ogni cilindro, inclinate tra loro di 74°.
Per la nuova formula di 1500 cm3 i due costruttori di motori inglesi impegnati nel mondiale avevano puntato con decisione sulla architettura a otto cilindri a V di 90°.
Alla BRM Peter Berthon e il capo disegnatore Aubrey Woods avevano iniziato alla fine del 1960 la progettazione di un motore semplice e compatto, con distribuzione comandata da due cascate di ingranaggi, canne dei cilindri umide con bordino di appoggio superiore e albero a gomiti con manovelle a 90° (cioè su due piani), proprio come in tutti i V8 di serie. Questa soluzione consente di ottenere una eccellente equilibratura ma in un motore da corsa rende assai complessa le realizzazione di un sistema di scarico in grado di sfruttare a fondo le onde di pressione e l’inerzia dei gas. Per ottenere i migliori risultati occorre infatti disporre i tubi in modo da collegare tra loro quelli provenienti dalle due bancate di cilindri. Per questa ragione inizialmente la BRM di Formula Uno è stata dotata di caratteristici scarichi individuali, disposti a “canna d’organo”.
Questo motore con otto cilindri a V di 90° aveva un alesaggio di 68,5 mm e una corsa di 50,8. In ciascuna delle due teste c’erano otto valvole (ossia due per cilindro), disposte su due piani inclinati tra loro di 76°. Quelle di aspirazione avevano un diametro di 39,7 mm e quelle di scarico di 30,5 mm. I pistoni avevano il mantello ad H, ossia fortemente sfiancato; ciascuno di essi era dotato di due soli segmenti. Nel 1962 il motore, che erogava poco più di 190 cavalli a un regime dell’ordine di 10500 giri/min, ha consentito alla BRM di conquistare il titolo iridato con Graham Hill. Nel 1963 è stato dotato di un albero a gomiti con manovelle a 180°, ovvero su di un solo piano, soluzione che consente di accordare gli scarichi indipendentemente per le due bancate di cilindri.
Per realizzare il suo 1500 con otto cilindri a V di 90° la Coventry Climax ha scelto di abbinare soluzioni avanzate con una notevole semplicità costruttiva. Si trattava infatti di un motore destinato ad essere venduto ai vari team e quindi l’aspetto economico aveva la sua importanza. Il direttore tecnico Walter Hassan ha affidato il comando della distribuzione a due catene a rulli e ha utilizzato canne dei cilindri umide con appoggio in basso (cosa che semplifica la fusione del basamento, del tipo open-deck). Quest’ultima soluzione nel primo periodo di impiego del motore ha dato origine ad alcuni problemi di tenuta delle guarnizioni della testa. Nel 1963 il motore, che inizialmente era dotato di un alesaggio di 63 mm e di una corsa di 60 mm, è stato dotato di nuove misure caratteristiche (68 x 51,6 mm) e ha visto la sua potenza raggiungere i 195 CV a 9500 giri/min.
Questo V8 è stato costruito in più versioni successive. Quelle prodotte fino al 1964 (dalla Mk I alla Mk V) avevano due valvole per cilindro, inclinate tra loro di 60°. Nel 1965 è scesa in pista la Mk VI con teste a quattro valvole e misure caratteristiche rivedute, che è arrivata ad erogare poco più di 210 CV a 10300 giri/min e ha consentito alla Lotus condotta da Jim Clark di conquistare il suo secondo titolo mondiale; il primo era stato ottenuto nel 1963 con il motore a due valvole, che quell’anno con la versione Mk III è stato dotato di albero a gomiti con manovelle a 180°.
Dopo le vittorie ottenute con il V6 nella stagione iniziale della Formula Uno di 1500 cm3, anche la Ferrari ha rapidamente pensato a un otto cilindri a V di 90°, che nel 1964 ha conquistato il titolo iridato con John Surtees. Questo motore, dovuto a Mauro Forghieri e Angelo Bellei, aveva un alesaggio di 67 mm e una corsa di 52,8 mm. Dotato di un albero a gomiti con manovelle a 180°, aveva un angolo tra le valvole di 84°; i condotti di aspirazione erano del tipo detto downdraft (passavano cioè nella parte superiore della testa, tra i due alberi a camme) e l’alimentazione era a iniezione diretta Bosch. Al termine del 1964 la potenza era di quasi 210 CV a 11000 giri/min.
Nel 1966 per le Formula Uno è entrato in vigore il nuovo regolamento, che prevedeva motori aspirati fino a 3000 cm3 e sovralimentati fino a 1500 cm3. La storia dei V8 nei Gran Premi non è certo terminata con il cambiamento delle norme tecnico-sportive, anche se per i motori di tre litri quasi tutti costruttori si sono orientati sui V12, che consentivano di ottenere più cavalli. Fino all’avvento dell’era turbo, infatti, il maggior numero di vittorie è stato ottenuto da due motori con otto cilindri a V: il Repco (che ha conquistato il titolo nel 1966 e nel 1967) e il mitico Cosworth DFV, che ha consentito alle vetture inglesi di conquistare ben 12 titoli mondiali piloti tra il 1968 e il 1982. La compattezza, il peso contenuto e la facilità di installazione in vettura hanno avuto a lungo la meglio, assai spesso, sulla potenza più elevata…