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Forse non tutti sanno chi sia l’architetto Marco Visconti. Classe 1957, laurea sia in architettura sia in ingegneria, ha lavorato con Renzo Piano ed è stato a lungo responsabile del gruppo architettura di Fiat Engineering e Maire Tecnimont. La sua esperienza nel mondo automotive è soprattutto per il settore industriale. Tra le sue opere si contano la sala produzione motori e il padiglione Ferrari, oltre che il ristorante Ferrari di Maranello. Poi i centri di formazione Iveco a Torino e Hitachi a Lecce. Il centro di ricerca Fiat Sata a Melfi. La sala conferenze al Museo Nazionale dell'Automobile di Torino e anche l'edificio di servizio al circuito del Mugello. Insomma, nella sua lunga attività non si può dire manchino esperienze e legami con il settore dell’auto, a livelli importanti.
Ultimamente le nuove o rinnovate fabbriche di cui sentiamo parlare per il settore, sono spesso solo all’estero e per produzioni di modelli elettrificati, piuttosto che dei relativi sistemi. Cambia tutto e cambiano i luoghi, eppure la nostra bella Italia è stata ed è ancora piena di esempi architettonici legati al tempo in cui moltissime auto e relative parti, nascevano fisicamente da noi. Il Bel Paese può ancora esprimere molto in formato diverso dalla storica produzione del ferro, per la mobilità. Magari sfruttando i propri spazi rinnovati dopo mezzo secolo e oltre.
Parlando con Visconti, che tiene conferenze presso le università, oltre che essere autore di pubblicazioni e libri (ultimo è “Valore umano e natura in architettura” - edizioni Libria) si scopre la caratteristica fondamentale del suo lavoro anche applicato al settore auto: la ricerca del miglior rapporto tra uomo, edificio e natura in una logica di rispetto, comprensione e fruizione dell'ambiente. Prima ancora però, parlando con lui di motori, si scopre che l’architetto ama sia moto sia auto. Le prime per andarci in fuoristrada, magari anche in competizione. Le seconde invece storiche, come il bel Duetto Alfa che ogni tanto guida con piacere.
Quando pensiamo a luoghi di lavoro per il settore auto vengono in mente grandi capannoni industriali, magari puliti e tecnologici ma freddi fuori e saturi di oggetti in movimento dentro. L’architettura di Visconti invece parte da lontano, dall’ambiente in cui s’inserisce il lavoro per cercare la trasposizione di un elemento naturale in qualcosa che diventi architettura. Non è certo cosa facile e per tutti da mettere in pratica, ma ha dei benefici. Prendere la natura come fonte d’ispirazione per forma e funzionalità. Il tutto in chiave sostenibile, posando su tre cardini: la flessibilità (strutture adattabili da utilizzare facilmente anche per usi futuri, che mutano nel lungo termine); l’energia (edifici con precisa gestione delle fonti energetiche, contando: l’esposizione, la forma, l’orientamento, la collocazione geografica, l’ingresso dei raggi, la ventilazione, l’ombreggiamento); la natura (forme e materiali mutuati dal mondo naturale, per sinergia tra natura artificiale e natura vera).
Nelle opere di Visconti ogni progetto sostenibile si prefigge la riduzione dell’inquinamento promuovendo il massimo risparmio energetico, con l’applicazione di metodologie bioclimatiche. Oggi, le fabbriche che sfornano parti, sistemi o interi veicoli, sono pensate in questo modo? Per buona parte no (specie in Asia e America) anche se sorgono sull’impulso di un trend come quello degli EV iper connessi e futuristi.
Concepire e costruire gli ambienti dove a sua volta si concepiscono e realizzano le Ferrari, non è da tutti. La commessa per il Cavallino rampante Visconti la ottenne da un accordo con stretta di mano, sulla fiducia, insieme all’allora capo di Maranello Montezemolo. Questo rapporto molto diretto, portò a realizzare non solo edifici lungimiranti e curati pensando al benessere delle persone che ci lavorano, come scritto sopra, ma anche a qualche sorpresa.
“Quanto potuto vivere lavorando in Ferrari è diverso da tutto il resto – spiega Visconti - un giorno mi dicono ‘ti diamo digestivo, vieni…’ e invece mi portano a bordo pista. Il capo collaudatore mi fa scegliere l'auto e mi dice di fidarmi, mentre inizia a guidare. Alle prime staccate m’impressiono della velocità e poi delle frenate con paura, tanta. Poi passa un giro, due e… Sparisce la paura, resta il solo piacere. Si sentivano solo le gomme stridere con un senso di attaccamento al terreno che genera una sorta di campo gravitazionale, tutto tuo. Erano i primi anni in cui quelle auto avevano la correzione elettronica della traiettoria. A un certo punto, inizio del rettilineo, da un colpo volante per farmi stupire di come poi l’auto riesce ugualmente a proseguire in traiettoria. È una sensazione fantastica e noi con l’architettura cerchiamo di proporre qualcosa di simile”.
Bel pensiero ma mica facile, far sentire uno seduto al lavoro come fosse in abitacolo di una Ferrari moderna e godereccia… Per la Casa di Maranello, l’opera di Visconti ha puntato anche a quello nel creare spazi. Non semplici padiglioni che siano “scatoloni” contenitori d’impianti ma strutture sostenibili con valore simbolico. Le sue proposte anche estreme, venivano mediate per produrre su idea comune con la dirigenza.
“Montezemolo voleva fare qualcosa di realmente utile a Ferrari, ma teneva anche ai propri dipendenti”. In questo senso se oggi si aderisce al protocollo Well Building Standard dove l’interesse si sposta sugli utenti, al tempo già la Ferrari fu pioneristica, nel guardare al benessere della persona. Padiglioni vetrati, con alberi e cespugli. Luce e natura applicate al luogo di lavoro di una Casa automobilistica. Anche queste cose fanno poi vincere un premio da “Best place to work”.
Nel mondo dell’auto, ricorda Visconti, c’è una costante che è il grado elevato di edifici complessi. Si a che fare con il conto economico e nessuno vuole fare cose che non servono. Se a noi sembrano edifici molto scenografici, da fuori, la Ferrari secondo lui ha speso bene per strutture che hanno qualità ed effetto finale elevato ma costo contenuto, in relazione al caso.
“Con quelle risorse si fa composizione architettonica, sfruttando al meglio maestranze e conoscenze di chi lavora. Le ombre e il prospetto dinamico ad esempio, elementi che aiutano ma un tempo non si consideravano in certi luoghi di lavoro. Prima era tutto fatto industrialmente, ora si lavora non solo per fare la fabbrica che funziona ma anche per capire come nasce ogni suo componente, pensando a chi lavora, quindi anche ogni singolo piccolo elemento e come cambiarlo. Luce e natura sono anch’essi architettura, per i tre edifici Ferrari (meccanica, verniciatura e ristorazione) che hanno familiarità e integrazione. Forma legata alla funzione oggetto”.
La composizione architettonica è un elemento positivo dell’industria auto, specie oggi. Negativo è il solo grande volume che si usava un tempo, per niente integrato con quello che gli sta intorno.
“Da ragazzo vedevo la fabbrica Fiat di Cassino dall’alto e la trovavo bruttissima. Mi dicevo che non dovevano essere così e quando ho iniziato a lavorare sulla prima fabbrica da 6.000 persone, ho subito pensato all’aspetto, verso l’ambiente”.
Anche il lavoro nel mondo Fiat ha permesso di realizzare opere interessanti. “Quando sono partito con il primo lavoro in Fiat, loro pensavano servisse un ingegnere per progettare fabbriche, ma poi ho potuto esprimere i valori di architettura e della sostenibilità. Un vantaggio in azienda, quello di poter acquisire poi commesse dirette senza consulenze di architettura esterne. Facevamo noi e con la fabbrica di Melfi si è realizzato qualcosa che ancora oggi è avanguardia. Edifici che nascono dalla natura del luogo, con molta luce, adeguati per chi ci lavora molte ore. È stata un’occasione unica, la forma anfiteatro che si armonizza con l’ambiente e non fatta come sola necessità industriale. I due anfiteatri, passato e presente, si collegano”.
L’architetto ha una visione anche per i grandi nomi di oggi e non solo dell’auto, che spopolano ma fanno lavorare le persone dentro “scatole chiuse” come quelle della logistica. “E’ anche per motivi di sicurezza, ma in certi casi si lavora come in prigione, o quasi. Si potrebbero usare di più legno e materiali naturali e poi il tipo di luce e la presenza di vegetazione. Un luogo di lavoro personalizzato è un valore quotidiano. Un’apertura verso l’esterno e un rapporto con il verde interno sono prospettiva che fa bene alla salute”.
Ora MV Architets lavora in proprio. Da quindici anni il cambiamento è stato drastico, con mamma Fiat che ha delocalizzato, costruito in luoghi lontani come Argentina e India delle strutture chiuse, non come quelle di Visconti. Ce ne sono molte, che lavorano per il settore automotive. “Le fabbriche estere ben congeniate ci sono, ma spesso ce ne sono altre davvero povere e non c’è nulla da poter fare, se tutti in quei luoghi accettano condizioni difficili”.
E in Italia, c’è sempre bisogno di architettura. “Arriverà la specializzazione perché l’industria è divenuta abbondante. Occorre trasformare la vecchia industria in qualcos’altro. Quindi la flessibilità dell’edificio serve, facile da tagliare a pezzi. Facile per essere ripensato. Uffici, palestre, residenze dove prima era altro. La meccanica Ferrari è già stata pensata in questo modo: gli impianti si possono tagliare a pezzi e dividere per fare altro. Il futuro è specializzazione italiana, forse con meno spazio da usare ma con maggior perfezione d’impiego e persone”.
Vecchie aree industriali quindi, da poter ristrutturare con i canoni giusti. “Un vecchio capannone anni Sessanta è facile da rimaneggiare, ma serve flessibilità per crearne spazi di vario uso. La base è sempre la flessibilità, con pochi gesti. Mettere assieme persone è una sfida. La vita è reinventare, fare stare assieme e senso di comunità. Quindi portare la natura, che penetra, passa con la luce, l’aria e si generano spazi liberi”.
Nel resto del mondo, che esempi interessanti vediamo? “Fuori dall’Italia ci sono realtà industriali che hanno aperto nuove vie. La McLaren ha fatto un edificio molto interessante con presenza di acqua. La città dell’auto di Wolfsburg, è un altro grande esempio. Per McLaren si è trattato di un investimento tale che forse non serve a una Casa auto. Bastava il rispetto di tutti quanti ci lavorano”.
In effetti lo scopo McLaren era anche avere una bella esibizione, alla moda e che ora, caso del destino, non è stato possibile nemmeno mantenere autonomamente. Visconti ha visitato anche Detroit, storica patria dell’industria auto americana. “La differenza fra loro e noi è che in USA ci sono sempre state scatole buie, illuminate artificialmente. È qualcosa che non va bene. Eppure pare che lo ripetano ancora oggi”.
Parlando allora di Tesla e delle sue note Giga-factory, una anche vicino a Berlino, l’architetto non vede esempi coerenti alla propria visione. “Tesla a quanto pare non è ricca di natura. Anche le nuove sedi sembrano come la fabbrica batterie nel Nevada. Dove luce e aria non sono usate per migliorare l’ambiente interno di lavoro, o la relazione con l’esterno”.
In ogni caso secondo Visconti serve sempre alzare la qualità lavoro nei grandi stabilimenti. Con architettura che premi i materiali naturali e supporti le persone. Un edificio scultoreo come il ristorante Ferrari, che visto per noi da fuori parla di tutto tranne che d’industria, se fosse per lavorarci andrebbe comunque bene. Fatto per andare avanti molti anni e restare all’avanguardia, facendo un passo indietro con l’architettura per lasciar parlare natura, trasparenza e persone come se vivessero in una piccola città.