Il Campione del Mondo 350 cc 1975 e 750cc 1978, Campione Italiano Superturismo 1989, Campione Tedesco Superturismo 1993, 1994 e 1998 e V8 Star 2001 e 2002, Vicecampione Formula 2 1982 e DTM 1990, pilota di Formula 1...oggi, 25 gennaio, compie 56 anni!
Auguri!
Prima considerazione di chi scrive questo articolo dopo averlo incontrato, Cecotto è in forma smagliante. Seconda considerazione, è ancora un pilota: sarà perché non ha mai smesso di frequentare le piste, ma si percepisce ancora chiaramente l’andatura, lo sguardo, l’atteggiamento tipico che caratterizza chi è nato per correre ed ha vissuto correndo.
Terza considerazione, più intima, ho di fronte un uomo che ha sperimentato una vita agonistica incredibile, straordinaria, vincendo in moto contro Agostini e Roberts, compagno di squadra di Alboreto e Senna, scontratosi (letteralmente!) con Schumacher nel DTM.
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Johnny, in F1, è stato compagno di squadra di Senna alla Toleman e di Alboreto alla Minardi. In moto, sempre Yamaha, ha dato filo da torcere ad Agostini e Roberts...
Johnny Alberto Cecotto è l’ultimo pilota, probabilmente per sempre, campione sia in moto che in auto. Senza il terribile incidente con la Toleman a Brands Hatch nel 1984, molti sono convinti che avrebbe potuto uguagliare la leggenda di John Surtees, iridato sia nel motomondiale che in Formula 1.
Tutto sommato lo pensa anche Johnny “Quando ho avuto l’incidente che ha troncato la mia carriera con le monoposto – sottolinea – avevo dei buoni contatti per l’anno successivo; magari non avrebbero portato a nulla, ma stavo discutendo con Brabham, Williams, McLaren e anche Ferrari. Avevo solo 29 anni, e una opportunità per giocarmi il titolo penso sarebbe potuta arrivare. Purtroppo è andata diversamente, e non credo per colpa mia, perché sono convinto di avere perso il controllo della vettura per un cedimento meccanico”.
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Cecotto fu protagonista di un terribile incidente in F1 nel 1984: "La macchina era rimbalzata in mezzo alla pista ed io provavo una terribile sensazione di freddo; guardai verso le gambe e presi paura..."
Cosa ricordi di quel venerdì 20 Luglio 1984?
“La monoposto era nuova, avrei dovuto rodarla in test privati che poi saltarono; così la facemmo debuttare direttamente nelle prove del Gran Premio. Dopo un giro e mezzo persi il controllo senza spiegazione, a circa 180 Km/h. Con una Formula 1 di oggi non mi sarei fatto nulla, ma allora eravamo seduti sopra le ruote anteriori ed il telaio in carbonio esplose sul davanti. La macchina era rimbalzata in mezzo alla pista ed io provavo una terribile sensazione di freddo; guardai verso le gambe e presi paura”.
Johnny, partiamo dall’inizio della tua avventura e torniamo alle due ruote: 1975, arrivi nel motomondiale dal Venezuela appena 19enne, vinci subito al debutto al Paul Ricard, sia in 250 che in 350, e alla fine dell’anno ti aggiudichi il mondiale della tre e mezzo. Ti aspettavi un debutto così fulminante?
“Ma va là! In Venezuela avevo vinto molto, ero andato forte anche a Daytona, ma arrivammo in Europa, io e Andrea Ippolito, responsabile della Venemotos, l’importatore Yamaha per il Venezuela, quasi per una vacanza. Eravamo un team privato di tre persone che pensavano di fare qualche gara. Francamente non ho del tutto idea di come riuscimmo ad andare così forte quella stagione, oltretutto su piste sconosciute: ogni cosa girò meravigliosamente bene ed alla fine interrompemmo l’egemonia di Agostini, pilota ufficiale Yamaha, che aveva vinto gli ultimi sette campionati mondiali 350”.
“Ho l’impressione di non essere mai stato troppo simpatico ad Agostini perché io e Barry Sheene, che eravamo molto scapestrati nel paddock, lo prendevamo spesso di mira per via del suo aspetto “serioso”: ricordo in particolare un gavettone in Finlandia che lo fece infuriare...”
Che ricordo hai di Agostini?
“Un grandissimo campione, in Italia era popolare come oggi Valentino Rossi, batterlo mi rese celebre, ma quando ci siamo incrociati lui era verso fine carriera. In generale, ho l’impressione di non essergli mai stato troppo simpatico, perché io e Barry Sheene, che eravamo allora molto scapestrati nel paddock, lo prendevamo spesso di mira per via del suo aspetto “serioso”: ricordo in particolare un gavettone in Finlandia che lo fece infuriare. Da un certo punto di vista Ago si è comunque vendicato, provando a passare alle monoposto prima di me; corse in Formula 2 ed in Formula 1 inglese, ma andò abbastanza male, e questo all’inizio suscitò molta diffidenza sulla mia scelta. “Non vorrai fare come Agostini?” mi dicevano tutti!”
Tu hai corso in 250, 350, 500 e 750, disputando peraltro ogni gara in almeno due cilindrate; c’era tanta differenza tra le varie moto?
“Si, ogni classe andava approcciata con una guida diversa. La mia preferita era comunque la 750, quel motorone quattro cilindri due tempi era qualcosa di incredibile come accelerazione, e sono orgoglioso di avere vinto il mondiale prima della abolizione della cilindrata e di detenere il record assoluto di gare vinte, tredici, una più di Roberts e Baker.
Quanto a fare due gare in un week end, non era un problema, allora era normale”.
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Tra Cecotto e Sheene c'era grande stima ed amicizia: "Barry era un grandissimo pilota ed una bellissima persona" dirà ai nostri microfoni
A vedere oggi le gare di allora si rimane stupiti dalla mancanza di sicurezza; voi percepivate questo grande pericolo?
“Abbastanza, era un periodo in cui i piloti cominciavano a rendersi conto che certi circuiti come Rijeka, Imatra, Brno e Spa erano troppo pericolosi: si passava tra alberi, case, muretti, a Imatra perfino su dei binari! Per fortuna l’Isola di Man nel 1975 non era già più una gara del mondiale. Comunque le auto allora erano ugualmente rischiose, il fuoco era sempre in agguato”.
Come era la vita del motomondiale allora?
“Eravamo degli zingari sempre in giro con i furgoni; il pilota ufficiale magari viveva un po’ meglio, ma alla fine non cambiava molto. Ci si divertiva comunque, in particolare il mio compagno di baldorie, come detto, era Barry Sheene, un grandissimo pilota, una bellissima persona”.
Prima hai accennato Valentino Rossi, che come te sembrava propenso a passare in F.1. Cosa pensi della sua ultima stagione? Forse doveva veramente fare il salto in Ferrari?
“Valentino in auto come Cecotto? Sinceramente credo oggi sia più difficile fare il salto moto/auto, perché ci si trova contro dei piloti che hanno iniziato giovanissimi con il kart; ai miei tempi si arrivava alle corse più tardi, spesso maggiorenni, e quindi meno “professionisti”
“Mi metto nei suoi panni, non è facile lasciare un mondo dove si è campione incontrastato per una carriera in Formula 1 tutta da costruire. Sinceramente credo oggi sia più difficile fare il salto moto/auto, perché ci si trova contro dei piloti che hanno iniziato giovanissimi con il kart; ai miei tempi si arrivava alle corse più tardi, spesso maggiorenni, e quindi meno “professionisti”.
“In generale, penso di Valentino che sia uno dei piloti più forti di tutti i tempi e che avrebbe potuto giocarsi anche l’ultimo mondiale se avesse corso con un'altra moto. Con la Ducati non ha trovato il feeling e ritengo non abbia avuto voglia di prendere tutti i rischi che aveva preso Stoner; forse l’infortunio dell’anno prima l’ha anche un po’ scosso in questo senso, dopo una carriera in cui non si era mai fatto male. Ma, ripeto, è un campione assoluto e gli auguro un grande 2012”.
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Johnny ha sempre corso in sella a moto Yamaha
Tutta la tua carriera in moto con Yamaha: come mai?
“Era una azienda leader e progettava ottime moto: diciamo che rimpiango solo un po’ nel ’75 di non avere accettato l’offerta della Suzuki per la 500: la loro moto era ottima, assai più competitiva della Yamaha, e mi avrebbero anche pagato molto bene. Però ero troppo legato al mio team e forse ho rinunciato ad una grande occasione”.
Ancora oggi gira sul web la voce che, dopo l’avvio fulmineo di carriera, eri diventato un pilota “non sempre con la testa concentrata sulle corse”: cosa ne pensi?
“Sciocchezze; due anni, ’76 e ’79, furono condizionati da dei seri infortuni all’inizio della stagione. In altri casi ero velocissimo in prova, ma retrocedevo in gara per problemi tecnici, ad esempio quando ero in squadra con Roberts, ma con gomme diverse, Michelin io, Good Year lui. Forse era più divertente creare questa diceria che analizzare seriamente le mie gare; pur essendo giovane e..sudamericano, penso di avere sempre corso con professionalità”.
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Sin dall’inizio Cecotto aveva l’obiettivo di fare come il padre, che in Venezuela aveva corso sia in moto, diventando anche campione nazionale nel 1956, sia in auto
Improvvisamente il trasferimento alle monoposto: come maturò questa decisione e come fu il passaggio?
“Io comunque sin dall’inizio avevo l’obiettivo di fare come mio padre, che in Venezuela aveva corso sia in moto, diventando anche campione nazionale nel 1956, l’anno della mia nascita, sia in auto. Già nel 1980 corsi qualche gara in Formula 2, e l’anno dopo firmai un contratto con la Minardi. L’esperienza in moto mi permetteva di conoscere i circuiti e l’ambiente delle corse, di sapere resistere alla pressione della gara, ma le quattro ruote erano un'altra cosa. Alla prima gara a Silverstone ad esempio commisi l’errore di stare in scia dentro la curva come con le moto, ma questo mi fece perdere l’aerodinamica e distrussi la macchina. Vi assicuro: le dimensioni, le reazioni, il setup…tutto diverso”.
Prima stagione con Minardi da dimenticare…
“Il team lavorava solo per Alboreto; penso mi avessero preso solo per una questione di immagine, ma non credevano minimamente in me. Ad un certo punto ho avuto l’impressione che mi prendessero in giro, ed ho lasciato la squadra dopo cinque gare. Terminai la stagione con una March BMW, ed in ogni caso chiusi il campionato tredicesimo”.
Invece nel 1982 grande stagione e titolo di vice campione europeo di Formula 2…
“Arrivammo all’ultima gara a giocarci in tre il titolo: io e Corrado Fabi con la March BMW e Thierry Boutsen con la Spirit Honda; fui coinvolto in un incidente e vinse Corrado per un punto, ma andava bene lo stesso”.
“Teddy Yip, proprietario del team Theodore F1, era un simpatico pazzo. Si diceva fosse miliardario, ma probabilmente i soldi li aveva finiti l’anno prima, perché io e Guerrero ci trovammo con una monoposto senza alcuna evoluzione. Dovemmo saltare le ultime due gare per il fallimento del team”
Nel 1983 il debutto in Formula 1 ed il primo punto iridato con la Theodore…
“La squadra era dell’indonesiano, Teddy Yip, un simpatico pazzo. Si diceva fosse miliardario, ma probabilmente i soldi li aveva finiti l’anno prima, perché io e Guerrero ci trovammo con una monoposto senza alcuna evoluzione e dovemmo saltare le ultime due gare per il fallimento del team. Però all’inizio del campionato la macchina, spinta dal classico Cosworth, era molto equilibrata ed a Long Beach, pure con problemi al cambio, arrivai sesto e presi un punto iridato. Nonostante la chiusura anticipata ero contento, in due anni avevo dimostrato di essere veloce e l’ambiente mi aveva riconosciuto un buon talento.”
Ed arriva il 1984….
“Entrai in Toleman tramite la BMW che mi appoggiava in vista di una possibile fornitura di motori, che poi non si concretizzò. Sapevo che Senna aveva un contratto da prima guida, ma non immaginavo quale differenza di trattamento avrei incontrato. Basti dire che mentre il suo motore aveva l’iniezione elettronica, il mio quella meccanica. Non fui mai messo in condizioni di provare decentemente, e l’incidente fu quasi la logica conseguenza di quel rapporto. Passai un periodo durissimo, dolori lancinanti, notti insonni, dodici mesi di pesante fisioterapia e la sicurezza che non sarei mai più stato in grado di guidare una monoposto, dopo tutta la fatica per costruirmi una reputazione. Poco alla volta comunque cominciai a guardare il bicchiere mezzo pieno: ero vivo dopo un botto pauroso e la BMW mi offriva la possibilità di ripartire con una carriera nelle gare Turismo”.
Nessuna possibilità di ritornare in F.1?
“Con le F.1 di oggi, da quanto ne so, forse avrei potuto provarci, ma allora le monoposto vibravano moltissimo e richiedevano una forza fisica che le mie gambe non potevano più avere. Diciamo che è stata una bella sorpresa comunque riprendermi al punto di guidare le vetture DTM, che erano delle gran bestie!”
“Schumacher? In quell'ultima gara di DTM nel 1990 non ho dubbi che volesse buttarmi fuori, forse per fare bella figura con il suo datore di lavoro. Il resto della sua carriera, per quanto di enorme successo, dimostra questa tendenza alla scorrettezza.”
Nel 1990 hai perso il titolo DTM. Quanto ti brucia?
“Tantissimo, perché mi sono sentito rapinato. La Mercedes aveva preso come pilota “wild card” per Hockenheim Schumacher; partiva molto indietro rispetto alla mia M3, eppure mi centrò alla prima curva. Io non ho dubbi che volesse buttarmi fuori, magari per fare bella figura con il suo datore di lavoro. Il resto della sua carriera, per quanto di enorme successo, dimostra questa tendenza alla scorrettezza: ha vinto un mondiale speronando Damon Hill e ha cercato di vincerne un altro buttando fuori Villeneuve. Per me lui come pilota non esiste, perché la serietà professionale è la prima qualità di chi fa il nostro mestiere; io combattevo sempre, ma se uno era più veloce evitavo di ostacolarlo a tutti i costi rovinandogli la gara o addirittura rischiando di fargli male”.
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Il figlio, Johnny Amadeus, ha provato recentemente la Force India andando molto bene. Nel 2012, però, correrà il mondiale GP2 con il Team Addax
Un sogno, imporsi in Formula 1, che ora seguono i tuoi figli, specie il maggiore, Johnny Amadeus...
“Questo inverno ha provato la Force India e devo dire è andato molto bene, poi non si è concretizzato però nulla e disputerà il mondiale GP2 con il Team Addax. Non sono stato assolutamente io a spingere i miei figli, le prime gare ero terrorizzato. Mi ricordo che, quando correvo io, ero sempre tranquillo, non pensavo potesse veramente succedermi qualcosa. Vedere invece gareggiare un figlio inizialmente è difficilissimo. Poi ci si abitua e faccio il massimo per aiutarli”.
L’automobilismo di oggi è lo stesso dei tuoi tempi?
“No, è molto più complicato, molto più legato alla ricerca dei soldi che al talento, peraltro oggi limitato (ma non annullato perché i migliori emergono sempre) da vetture credo più semplici e da circuiti fin troppo omologati. Chiariamoci, anche ai miei tempi c’era l’Hector Rebaque proprietario di mezzo Messico che si comprava il posto in squadra, ma oggi il fattore economico ha una importanza molto più grande. Aggiungo che la stessa regola vale anche per gli stipendi dei piloti: ai miei tempi si guadagnava bene, ma cifre come quelle dei top driver di oggi erano fantascienza”.
Con l’ambiente delle moto che hai invece lasciato tanto tempo fa, che rapporti hai?
“Negli ultimi due anni ho partecipato alle rievocazioni di Imola e Spa, risalendo sulla mia Yamaha 500. Devo dire che ho ritrovato sensazioni conosciute, è stato emozionante, però mi sono un po’ vergognato a girare pianissimo, quando c’erano ad esempio Sarron e Baker che staccavano i tempi di trenta anni fa! Aggiungo anche, senza retorica, che sono rimasto molto addolorato dall’incidente di Simoncelli: per i capelli, il colore del casco, la giovane età ed un certo carattere mi ricordava un po’ me da giovane”.
“Mi ha sempre fatto ridere il fatto che quando vincevo ero italiano, se andavo così così italo venezuelano, se perdevo venezuelano e basta”
Sei sempre stato definito “italo-venezuelano”: ti ritrovi in questa definizione?
“I miei nonni erano veneti, mio papà friulano, sono cresciuto in Venezuela, direi di si. Mi ha sempre fatto ridere comunque che qui quando vincevo ero italiano, se andavo così così italo venezuelano, se perdevo venezuelano. Pensa che il mio primogenito ha tre cittadinanze, e nella ricerca di sponsor trova le stesse difficoltà: se chiede soldi si sente sempre dire che è uno straniero!”
Sei in gran forma, ma come vivi gli anni che passano?
“Serenamente: a parte le conseguenze di tutte le fratture rimediate in moto ed in auto che in certe giornate umide mi ricordano la lunga carriera, sto bene di salute ed ho tante cose da fare!”