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Tre piani di scale. Sono quelli che separano la nostra redazione dalla strada. Radek Jelinek, presidente di Mercedes-Benz Italia dallo scorso anno, li sale tutti d’un fiato. Classe 1962, nato in Repubblica Ceca e da lì fuggito a 20 anni, ha un fisico e un’abbronzatura che non nascondono la sua passione per la montagna e per lo sci. Il manager, in Daimler dal 1987, ha accettato l’ennesima sfida della sua carriera, quella di operare nel nostro paese, con determinazione, come ci ha confermato in occasione della sua visita alle redazioni di Automoto.it e Moto.it a Milano.
Lei è arrivato in Italia nel 2011, anno in cui fu applicato il superbollo, poi è stato in Messico per riportare Mercedes-Benz ai vertici del segmento premium e oggi torna nel nostro Paese, proprio nel momento in cui è stato introdotto il Malus.
Radek Jelinek: «Io ho anche lavorato in Argentina e sono stato presidente di Daimler-Chrysler in Venezuela: rispetto alle situazioni che ho vissuto in quei paesi, il superbollo non è nulla. Ho dovuto affrontare momenti veramente critici. Avere poca stabilità è diventata la normalità ormai in tutti i mercati».
A livello aziendale, come affrontate crisi geopolitiche come quella del Venezuela, la Brexit, i dazi? In un clima costante di instabilità, come quello di cui parlava prima, come conciliate la necessità di programmazione a lungo termine che ha la vostra azienda con la capacità di essere flessibili?
«Bisogna trovare il giusto equilibrio tra le due cose. Mercedes-Benz è un marchio internazionale da sempre, già negli anni Cinquanta cominciammo a produrre all’estero, in particolare in Brasile. Cercare di comprendere i diversi paesi è nel nostro DNA. Per questo nelle posizioni di management vengono scelte persone che hanno una predisposizione e un’apertura naturale verso altre abitudini, costumi, lingue. Mercedes nelle nazioni in cui opera non è come un’ambasciata, si adatta alla cultura, pur mantenendo i valori dell’ingegneria tedesca. Per me è fondamentale conoscere l’ambiente italiano: non ci sono solo algoritmi, la parte umana è essenziale».
Dunque lei è l’esempio tipico di questo tipo di managerialità
«Personalmente sono cresciuto per vent’anni sotto l’egida comunista, nell’allora Cecoslovacchia; poi mi sono trasferito in Germania. Forse per compensare il fatto che in giovinezza non avevo viaggiato, ho scelto una carriera che mi ha portato in giro per il mondo. Sono entrato in Mercedes con uno stage mentre studiavo all’università e poi ho continuato lì. Ovunque abbia avuto modo di operare, ho sempre cercato di risolvere i problemi con un dialogo aperto con gli interlocutori e le istituzioni del luogo».
Un metodo di non facile applicazione qui in Italia, dove probabilmente è più difficile che altrove individuare gli interlocutori giusti
«Forse la complessità dell’Italia è proprio questa: c’è molta capillarità. Purtroppo l’auto è diventata per definizione oggetto di polemiche e forse anche noi come industria abbiamo avuto le nostre colpe. Però oggi quello che sta succedendo intorno al diesel non è giustificato. Per noi è importantissimo, abbiamo fatto dei progressi enormi dal punto di vista dell’efficienza e della complessità dei motori e delle tecnologie legate a questa motorizzazione, continuiamo a investirci e siamo convinti che sia una soluzione oggi ottimale. Sarà importante affrontare nelle giuste sedi e sciogliere il nodo sul gasolio, non solo perché i moderni motori sono molto efficienti e puliti ma anche perché in Italia le carenze dal punto di vista delle infrastrutture rendono più difficoltosa la fruizione dei veicoli ibridi e soprattutto elettrici».
«C’è anche un aspetto economico e sociale da tenere in grande considerazione. Senza una corretta e diluita migrazione, si mettono a rischio molte famiglie. Non penso che chi possiede una Panda di dieci anni fa abbia le risorse economiche per acquistare una vettura green. La più economica è la nostra smart, che parte da 27.000 euro. E’ quindi molto importante capire il reale modo più corretto di rinnovare il parco circolante italiano, che è molto vecchio. Non voglio criticare la politica a prescindere da tutto: dobbiamo essere aperti al dialogo, coinvolgendo anche gli altri marchi. Sono importanti anche interlocutori neutrali, che hanno credibilità, come i giornalisti, nel loro ruolo di spiegare le cose in modo chiaro e semplice».
«La gente non compra perché è incerta, i Comuni e lo Stato non incassano, si perdono posti di lavoro e come conseguenza le auto per strada sono sempre più vecchie. I fatti devono essere spiegati in modo chiaro: ad esempio i cicli di omologazione sono complessi, pur essendo veritieri e vanno capiti. Il diesel rimarrà importantissimo per l’Italia: i blocchi alla circolazione annunciati in diverse città non aiutano certo. Funzionerebbero se il trasporto pubblico fosse eccellente e se ci fosse una corretta programmazione. Invece vengono strillati in modo disomogeneo da regione a regione, disorientando l’automobilista. Per questo noi siamo intervenuti dando ai clienti garanzie sul valore residuo delle nostre auto e togliendogli la preoccupazione di vedersi svalutata la sua auto da un giorno all’altro».
Anche il Parlamento Europeo ha imposto limiti stringenti e con tempistiche accelerate, questo malgrado i livelli di emissioni delle Euro 6d-Temp già oggi non rappresentino un pericolo per la salute. Sperate che con le prossime elezioni europee ci potrà essere un passo indietro?
«Non credo succederà: dal punto di vista politico sarebbe difficile comunicare un passo indietro, non oso immaginare un’eventuale reazione da parte degli ambientalisti. Penso che i limiti imposti dall’UE siano stringenti e implichino ingenti investimenti da parte dei costruttori. Le cose sono ulteriormente complicate dalle normative a livello locale».
Oggi tutte le Case sono impegnate a non superare i limiti di CO2 di Gruppo. Occorre un importante lavoro di pianificazione a livello di mix di motorizzazioni immesse sul mercato, ma anche di semplificazione dei modelli e degli allestimenti in vendita, che saranno progressivamente ridotti. Come si sta preparando la Rete a questi cambiamenti?
«Abbiamo cominciato a formare i concessionari già dallo scorso anno. Nei nostri piani per il futuro prossimo c’è tanto elettrico, tanto ibrido: bisogna che anche il personale sia preparato. I contenuti tecnologici aumentano; la Classe A, la Classe B sono come degli smartphone, spiegare una macchina diventa sempre più complesso. Da anni abbiamo una figura che si chiama product expert, entrato in concessionaria per rendere le cose più semplici. L’informazione ora circola in modo molto veloce, i clienti sanno già molto delle vetture quando vengono a vederle e per questo bisogna essere in grado di non deluderli e di chiarirgli eventuali dubbi rimasti».
I concessionari sono più spaventati o motivati?
«Dipende. Il mio mestiere in questo momento di incertezza è quello di rassicurare. Abbiamo istituito una commissione di innovazione per avere un dialogo con i concessionari e discutere della rete del futuro. Ad ottobre porteremo alcuni dealer nella Silicon Valley, per capire meglio la tecnologia che arriverà sulle nostre vetture. Abbiamo molti clienti vecchia maniera, ma tanti vogliono l’innovazione: ci sono due mondi opposti da gestire e non vogliamo diventare come Nokia, che aveva i cellulari migliori ma per un certo periodo di anni ha sofferto per il ritardo accumulato con gli smartphone. Le grandi novità tecnologiche sono state introdotte sulla Classe A e sulla Classe B proprio perché gli acquirenti sono più giovani e aperti alle innovazioni. Grazie a questo, abbiamo abbassato l’età media di chi compra questi modelli di 13 anni».
Quando è arrivato in Italia ha dichiarato di voler fare di Mercedes-Benz il marchio leader del mercato premium in Italia. L’offensiva parte proprio dalla Classe A?
«Negli ultimi 10 anni il design delle nostre vetture è diventato fantastico, più giovane. È soggettivo parlare dell’estetica, ma la risposta del pubblico è stata ottima. Ora è importante gestire la complessità della gamma, che è molto cresciuta negli ultimi 15 anni. Stiamo sviluppando soluzioni ibride, elettriche, fuel cell, diesel, senza parlare delle tecnologie di guida autonoma dei veicoli e dell’infotainment. È un momento molto interessante e ci sono tutte le premesse per sviluppare numeri importanti in molti segmenti in cui sono presenti nostri modelli».
L’Italia non è culturalmente pronta all’elettrico, anche le infrastrutture sono carenti. La vostra scelta di entrare in questo mondo dall’ambito cittadino, con smart, è anche il modo per voi migliore di raccogliere informazioni da e su questo mercato?
«Certo. Con la notizia recente della joint venture con Geely, dal 2022 ci apriremo ad un mercato molto importante con smart. Credo che il futuro di questo marchio sia roseo. Questa transizione all’elettrico in smart è stata più facile per via della semplicità della gamma, con le sole opzioni fortwo e forfour. In Italia stiamo dialogando con quattro città, Firenze, Milano, Roma e Genova, sul tema dell’elettrico e delle infrastrutture. Per chi vive e lavora nell’ambito urbano, l’elettrico ha molto senso, ma se si esce dalla città, l’autonomia diventa un problema. Credo che coesisteranno diversi tipi di motorizzazione ancora a lungo e questa esperienza che stiamo vivendo “sul campo” ci potrà essere molto utile».
La sede da sola aiuta ma non basta, ci vuole impegno: ci sono dei muri più spessi di quelli di cemento a bloccare le comunicazioni
Soddisfatto delle vostre novità?
«Molto, a cominciare dalla Classe A, che sta performando in modo fantastico. Anche la Classe B, lanciata a febbraio, ha avuto un buon riscontro e abbiamo tante richieste per la GLE. Le nostre auto piacciono, sia le sedan che i SUV, verso cui il mercato si sta orientando in maniera rapidissima. La GLB, mostrata come concept a Shanghai, sarà una macchina ideale per il mercato italiano».
Come trova Milano dopo 5 anni che mancava? E come si è ambientato nella nuova sede Mercedes-Benz a Roma?
«Milano la trovo molto cambiata. Viva, moderna, piena di stranieri. Anche da fuori se ne sono accorti ed è una cosa molto positiva. I cittadini spingono la politica a darsi da fare, non si accontentano. E questo porta la città ad essere competitiva e ammirata in Europa. Nella città di Roma la situazione è molto diversa. Ma la nuova sede è bellissima, adesso abbiamo grandi open space in cui personalmente mi trovo benissimo e credo che sia un parere condiviso anche dagli altri dipendenti. Per cambiare ed essere innovativi, però, non bisogna solo modificare il luogo di lavoro: dobbiamo trasformare la cultura gerarchica per affrontare la sfida con le grandi aziende tecnologiche. L'adattamento al cambiamento non è necessariamente una questione generazionale: non sempre i più anziani sono più refrattari dei giovani, è una questione di carattere. Oggi le decisioni funzionano solo se viene coinvolta l'intera squadra. Abbiamo recentemente aperto dei gruppi di discussione tra i dipendenti su progetti che riguardano la nuova cultura aziendale e i risultati in termini di coinvolgimento sono positivi. Tra i progetti già approvati ci sono la creazione di una ludoteca in azienda e il car pooling per i dipendenti. Visto il buon riscontro, abbiamo aperto gruppi di discussione su temi più complessi e legati al business. Torno a ripetere che la sede da sola aiuta ma non basta, ci vuole impegno: ci sono dei muri più spessi di quelli di cemento a bloccare le comunicazioni. Abbiamo anche istituito lo smart working: chi volesse può lavorare da casa una volta alla settimana. Addio poi alla timbratura: l'importante è la disciplina e la concentrazione, con cui si raggiungono molti traguardi».