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Una dinamica purtroppo non infrequente: un’automobilista, mentre percorreva un’autostrada, sterzava a sinistra per evitare un cane, impattando contro le barriere spartitraffico che non impedivano però all’autovettura di finire sulla corsia opposta e di entrare in collisione con un’altra auto.
La conducente della vettura citava in giudizio presso il tribunale di Palermo l’ente gestore della strada, in questo caso l’Anas SpA, chiedendone la condanna al risarcimento del danno subito secondo quanto previsto dagli articoli 2043 e 2051 del Codice Civile in quanto lo stesso ente avrebbe dovuto non solo garantire la presenza di reti idonee a impedire agli animali di accedere in autostrada ma soprattutto il completo riempimento delle barriere spartitraffico, che non avevano arrestato la corsa dell’auto che finiva per invadere l’altra carreggiata.
A sua volta, il gestore della strada si difendeva dimostrando di aver opportunamente recintato l’intero tratto e di aver predisposto le barriere spartitraffico in modo da chiudere eventuali varchi.
Dette barriere peraltro avevano solo la funzione di dissuadere possibili manovre di cambio di marcia e non anche di contenere i mezzi.
Il dilemma sul quale si sono trovati a discutere i giudici riguarda chi debba rispondere del danno, quando “in apparenza” sembra che la strada in cui si è verificato l’incidente, fosse conforme alle leggi e alla tecnica costruttiva.
La terza sezione civile del Tribunale di Palermo, con sentenza del novembre 2016, ha condannato l’Anas a risarcire la vittima, sebbene il guard rail risultasse conforme alle norme in vigore all’epoca della costruzione.
Nell’accogliere la domanda dell’automobilista, il Tribunale ha affermato, innanzitutto, che l’Anas non era responsabile della presenza del cane in quanto non si riscontrava alcun deficit di manutenzione nella recinzione del tratto autostradale.
Riguardo invece all’istallazione delle barriere spartitraffico, le quali non avrebbero impedito all’auto della vittima di finire sull’altra carreggiata, perché a dire della stessa non erano correttamente riempite, il giudice ha ritenuto opportuno l’intervento tecnico di un consulente tecnico d’ufficio.
Il Ctu nella sue relazione rilevava che le barriere spartitraffico dove era avvenuto l’incidente erano conformi alla normativa vigente al momento della realizzazione del tratto stradale, ma sottolineava altresì il dovere da parte del custode della strada di adoperarsi sempre al fine di scongiurare i possibili danni agli utenti.
A tal proposito, infatti, richiamando il Decreto Ministeriale 5/11/2001, precisava che tutte le nuove infrastrutture stradali progettate successivamente a tale decreto, hanno l’obbligo di dotarsi di apposite barriere in acciaio per la chiusura dei varchi autostradali.
Secondo il Tribunale si doveva allora accertare se l’Anas poteva comunque garantire una maggior sicurezza della strada «alla luce delle norme e dei criteri di costruzione sopravvenuti».
E citando la sentenza 15302/2013 della Cassazione secondo cui «la conformità delle strade o delle autostrade alle leggi e alla tecnica costruttiva non vale ad escludere ogni responsabilità del proprietario o dell’ente gestore qualora, nonostante una tale conformità, l’opera presenti insidie o pericoli per l’utilizzatore» ha pertanto condannato l’Anas a risarcire il danno.
L’ente gestore della strada, ha sottolineato il giudice, nonostante la conformità del tratto stradale alle normative di settore, avrebbe dovuto prevedere la possibilità del verificarsi di un danno agli utenti.
Il fine primario di chi gestisce un’autostrada è infatti quello di garantire la massima incolumità di chi percorre le strade. Sarebbe onere dell’Anas, pertanto, provvedere all’istallazione di nuove barriere in acciaio per chiudere i varchi autostradali ed esimersi dunque da conseguenti future responsabilità.
In sentenza, però, il Tribunale ha anche osservato che se la donna se avesse indossato la cintura di sicurezza, «del tutto verosimilmente» non sarebbe stata sbalzata fuori dall’abitacolo.
In tal senso, dunque, il Tribunale ha attribuito all’automobilista un concorso di colpa del 30%, condannando nel contempo l’Anas al risarcimento del danno, liquidato per 102.000 euro.