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Metà elettriche, metà termiche (le proporzioni non sono esattamente queste, ma ci siamo capiti); è la tecnologia delle ibride plug-in, le auto con batterie e benzina che possono funzionare per un certo numero di km in full electric e poi in modalità mista. Si risparmia e s’inquina di meno? Dipende, nessuno lo sa con esattezza perché, indipendentemente dalle qualità del powertrain, troppi fattori dipendono dal “buon uso” che ne fa il proprietario, ricaricando di frequente la batteria.
Anzi, adesso che ne circolano un buon numero sembra oramai accertato che i consumi “veri” nel medio termine siano ben diversi da quelli dichiarati nei cicli Wltp, che danno troppo peso alla percorrenza in elettrico rispetto a ciò che avviene nel mondo reale. I dati sono emersi in seguito a una inchiesta del Fraunhofer Institute di Karlsruhe e dell’International Council for Clean Transportation e dalle esperienze colte nel mondo reale.
Gli automobilisti lamentano il fatto che a fronte dei decantati 2 o 3 litri per 100 km indicati nelle schede tecniche e nella pubblicità, le esperienze personali riportano valori di tre volte superiori (per le auto private) e addirittura fino a cinque volte più alti per le auto delle flotte, dove evidentemente i proprietari si preoccupano di meno di fare le ricariche quotidiane necessarie per sfruttare la parte elettrica. E col passare delle generazioni il gap si vada sempre più allargando.
A batteria scarica, le ibride plug-in (PHEV) si comportano come delle full hybrid ma con lo svantaggio di una massa superiore dovuta alle batterie e al motore elettrico più grande; di conseguenza consumano ed emettono più gas nocivi di quanto promesso.
E questi risultati stanno avendo i loro effetti: secondo le analisi di Bloomberg, confrontando l’andamento delle vendite di PHEV e di elettriche in Europa si nota come le immatricolazioni siano fortemente rallentate, ben al di sotto delle 300.000 unità contro le elettriche “pure” che hanno raggiunto quota 400.000 e sono poi scese leggermente nei primi mesi del 2022. I numeri dei singoli Paesi sono ancora più eclatanti: in Francia le vendite di plug-in sono crollate del 28% a giugno, in Germania del 16% (e gli incentivi saranno ridotti a fine anno) e in Gran Bretagna le vendite di elettriche sono il doppio delle plug-in, che non hanno più incentivi già da quattro anni.
Chi ha in programma di cambiare auto quest’anno ed è stato in concessionaria, avrà saputo che per molti modelli i tempi di attesa sono lunghissimi, addirittura di un anno, e giustamente si chiede se fra 12 mesi o più questa tecnologia “ponte” non possa rivelarsi già obsoleta molto prima del 2035 (quando si potranno vendere auto nuove esclusivamente elettriche), anche considerando che in media ogni italiano si fa durare l’auto una decina d’anni e anche di più.
Ogni caso naturalmente fa storia a sé, ma è oramai chiaro che le costose PHEV, benché sospinte dagli incentivi e da intense campagne pubblicitarie, non sono poi così “eco” come promesso, e preoccupa un po’ il fatto che quelle destinate alle flotte, che hanno largamente beneficiato di aiuti pubblici, vadano in elettrico solo per una percorrenza pari all’11-15% del chilometraggio totale. Come dire che una normale auto nuova a benzina o a gasolio, molto più leggera ed economica, avrebbe ottenuto lo stesso risultato con meno sprechi di materiale e tecnologia costruttiva. Che, come sappiamo, sono anch’essi origine di pesanti quote di anidride carbonica.