Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su info@moto.it
Lo sapevate che, fino al 1997, una quota di circa il 33% del mercato delle auto usate della Cina era costituito da importazioni illegali? E che molti di questi traffici coinvolgevano astuti trafficanti nordcoreani, intermediari cinesi e automobili di seconda mano giapponesi? Non è un film, ma la sintesi di quanto era solito accadere lungo il confine tra la Repubblica Popolare Cinese e la Repubblica Popolare Democratica di Corea (leggi: Corea del Nord) al termine degli anni '90. Se oggi il Paese guidato da Kim Jong Un viene spesso citato dai media per i metodi sofisticati che utilizza per importare articoli sensibili, dai componenti per missili e petrolio raffinato alle borse e ai veicoli di lusso, nonostante le sanzioni internazionali, c'era un tempo in cui avveniva l'inverso: beni di valore venivano spediti fuori dalla Nord Corea in un processo che smuoveva considerevoli cifre di denaro. Merito delle auto made in Japan, del fatto che in Cina stesse nascendo – a cavallo tra i Novanta e il Duemila – una classe media e che il Dragone non fosse ancora entrato a far parte dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (sarebbe avvenuto nel 2001).
Ebbene, in un contesto del genere svariati “imprenditori” nordcoreani erano soliti gestire un complesso contrabbando di auto usate giapponesi sul territorio cinese. Sfruttavano i fiumi ghiacciati, l'oscurità e il gelo che caratterizzano le aree di confine tra Cina e Corea del Nord. E, secondo una lunga analisi sul tema realizzata dal sito Nk News, questi signori riuscivano a generare profitti che rivaleggiavano con il traffico di droga e il commercio di beni antichi. “Questo periodo segnò l'apogeo del contrabbando di automobili in Corea del Nord, quando singoli imprenditori e aziende statali sfruttarono le vulnerabilità dei confini per ricavare profitti, nonostante l'economia del Paese fosse in difficoltà”, ha scritto lo studioso Andrej Lankov. L'aspetto più curioso è che, seppur di breve durata, questa redditizia attività avrebbe contribuito a far decollare una certa imprenditoria in Nord Corea, e avrebbe prodotto fortune che sarebbero andate a finanziare l'attività economica nazionale nei decenni successivi. Negli anni '90, la Cina era impegnata a proteggere, con le unghie e con i denti, la sua crescente industria automobilistica. Per farlo – ironia della sorte, se pensiamo al presente - impose tariffe elevate sulle auto importate che potevano arrivare fino all'80-100% del valore del veicolo usato. Dal momento che i modelli made in China non erano all'altezza, e che era impossibile acquistare auto straniere, ecco che prese piede il traffico illegale di veicoli stranieri usati.
Alla fine degli anni '90, in Giappone si poteva acquistare un'auto usata in buone condizioni per 2-3.000 dollari, e la si poteva addirittura spedire in Corea del Nord (Tokyo avrebbe imposto l'embargo quasi totale sul traffico marittimo tra le due nazioni solo nel 2004-2005). Questi mezzi, in sostanza, venivano importati legalmente da commercianti nordcoreani che, in un secondo momento, li avrebbero contrabbandati in Cina, rivenduti a circa 7-10.000 dollari. I veicoli venivano quindi condotti sul confine cinese, dove scorrono i fiumi Yalu e Tumen. Ogni inverno i due corsi si ghiacciano (con uno spesso strato di ghiaccio): all'epoca consentivano dunque ai trafficanti di guidare le auto direttamente sul territorio cinese. In altre stagioni, i commercianti utilizzavano traghetti improvvisati oppure scatole di ferro impermeabili all'acqua per trasportare i mezzi a destinazione. I rubinetti si sarebbero interrotti tra il 2001 e il 2005, in parte per l'ingresso della Cina al WTO e in parte per i controlli, sempre più stringenti, attuati da Pyongyang e Pechino lungo le rispettive aree di frontiera. Chissà se all'ombra della Città Proibita, tra auto elettriche e berline BYD, continua a circolare qualche Toyota, Mitsubishi o Nissan importata per via traverse dalla Nord Corea...