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L'aula magna del Politecnico di Milano è stata la sede di un incontro fra tecnici e responsabili di varie marche automobilistiche che, nell'era dell'auto elettrica a tutti i costi (anche economici), ha aperto gli occhi di molti sul fatto che certe tecnologie alternative non sono state affatto messe da parte a favore dell'elettrone egemone, ma vengono studiate e sperimentate intensamente e con risultati promettenti: si parla di idrogeno.
E, lo sappiamo, quando si pronuncia il nome del gas più diffuso nell'universo, nella maggior parte dei casi si ipotizza il suo impiego nelle fuel cell o celle a combustibile per generare corrente e, in definitiva, alimentare un motore elettrico, e questo è sicuramente uno degli usi a "basso impatto" più promettenti per la mobilità del futuro. Ma qui, al Politecnico di Milano, si sono dati convegno studiosi che dell'idrogeno sperimentano gli aspetti positivi come gas infiammabile, un vero e proprio carburante, oppure come elemento di base per la produzione di e-fuel, una alternativa recentemente ammessa (su pressioni della Germania) anche dalla Commissione Europea per rendere effettivo il "Fit for 55" del 2050. Insomma, il motore a pistoni qui non è morto, anzi, tutt'altro. Basti dire che al convegno c'erano anche i motoristi di Ferrari, Lamborghini e Mazda.
Al centro dei lavori, dopo le relazioni del professori del Politecnico, è salito sul palco un luminare della scienza motoristica, il professor André Casal Kulzer dell'Università di Stoccarda, che ha corredato il suo intervento con una realistica analogia: anche se non li vediamo, per quello che attiene alla CO2 tutte le auto hanno tre tubi di scarico.
Il primo è quello responsabile delle emissioni dovute al processo di fabbricazione: reperimento ed estrazione delle materie prime, lavorazioni e trasformazioni, logistica, sperimentazione dei nuovi modelli, e in questo caso non è affatto detto che le emissioni di un veicolo elettrico siano inferiori a quelle di un modello con il motore termico. Inoltre le elettriche hanno un handicap nell'immediato: per le sostanze necessarie alle batterie e ai motori si deve dipendere da Paesi pressoché monopolisti come la Cina.
Il secondo tubo è l'unico "visibile" ed è responsabile (localmente) della CO2 dovuta alla combustione, anche se tutto dipende dal tipo di carburante scelto; in presenza di e-fuel, per esempio, il bilancio può essere pari a zero se nella fabbricazione del carburante è stata assorbita la stessa quantità di CO2 emessa allo scarico, con energia rinnovabile. Ovviamente per le auto a batterie questo valore è pari a zero (riferendosi alla sola anidride carbonica), sempre a condizione che l'energia elettrica per la ricarica sia al 100% rinnovabile.
Il terzo tubo è quello delle emissioni legate allo smaltimento e al recupero delle parti dell'auto a fine vita, e anche in questo caso il bilancio non è a favore delle auto elettriche che contengono materiali il cui riciclo è complesso ed energivoro, anche se le batterie possono durare per molti anni e avere una seconda vita come accumulatori statici.
Per valutare quindi l'impatto ambientale dei veicoli che guideremo da qui al 2035 o anche al 2050 (l'anno posto come limite nella convenzione fra gli Stati europei "Fit for 55" occorre prendere in esame tutti e tre questi "tubi" e come si svilupperà la filiera di ciascuno. Il professor Kulzer ha sintetizzato il suo intervento con una frase presa a prestito da Charles Darwin: in natura non è il più forte che sopravvive e nemmeno il più intelligente, ma è la specie che sa adattarsi al cambiamento. Cliccando sulla foto qui sotto è possibile scaricare la relazione del professor André Casal Kulzer (in inglese).
Christian Schultze è il Direttore per Research & Operations di Mazda Motor Europe, con sede in Germania, e apre la sua relazione con un numero che fa riflettere. Lasciando da parte per un momento i costi e le quantità disponibili di e-fuel (comunque i primi scenderanno e le seconde aumenteranno) l'ingegner Schultze constata che l’Europa ha una flotta di 246,3 milioni di autovetture e oltre il 97% di esse è spinta da un motore a combustione interna: ciò vuol dire che miscelando un e-fuel CO2 neutro anche solo per il 3% alla benzina o al gasolio si otterrebbe già lo stesso benefico effetto di tutti i veicoli elettrici attualmente in circolazione, e questa possibilità va sfruttata il prima possibile.
Infatti, – continua Schultze - i carburanti sintetici hanno una compatibilità con i motori attuali del 100% e questa combinazione ha un vantaggio straordinario: non serve apsettare che entrino in circolazione auto più raffinate e a basse emissioni, ma funziona da subito anche per tutti i veicoli del parco circolante meno recenti, che possono contribuire alla neutralità climatica utilizzando il carburante di sintesi e-fuel.
Non va dimenticato poi che i combustibili sintetici sfruttano la logistica dei carburanti già esistente e non dipendono dalle infrastrutture di ricarica: un vantaggio fondamentale, in particolare per le regioni con reti di ricarica più deboli come l'Italia. L’obiettivo di una mobilità a zero emissioni di CO2 non può essere perseguito con una sola ed esclusiva tecnologia, ma è di fondamentale importanza considerare un approccio olistico, che tenga conto di tutte le soluzioni disponibili.