Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su info@moto.it
Se ogni tanto si torna a parlarne, una ragione deve esserci. In questo caso si tratta fondamentalmente della grande efficienza del lavaggio unidirezionale, il massimo per i motori a due tempi. Stiamo parlando dei motori a pistoni opposti, realizzati cioè con uno schema che viene tuttora spesso definito “tipo Junkers”, dal nome della celebre casa tedesca che lo ha sviluppato e portato a un livello funzionale e prestazionale straordinario, nel periodo tra le due guerre mondiali.
Diesel a pistoni opposti in ogni campo
In passato sono stati realizzati eccellenti motori diesel di questo tipo, che hanno trovato impiego in diversi settori, da quello aeronautico a quello dei veicoli industriali, senza dimenticare la notevole diffusione in campo ferroviario e industriale, oltre che sui sottomarini americani degli anni Quaranta e su vari carri armati inglesi e russi costruiti nel dopoguerra. E c’è stato anche chi ha pensato di impiegarli, in versione a ciclo Otto, su vetture e su moto da corsa e da record. Ad alcune realizzazioni odierne per uso militare e per la generazione di energia si è andata ad aggiungere una proposta avanzata solo qualche anno fa dalla OPOC (Ecomotors) che sembra sia attualmente in fase di valutazione da parte della americana DARPA.
Dunque, potrebbe esserci un rinnovato interesse nei confronti dei motori di questo tipo, anche a giudicare da alcuni recenti studi di fattibilità e da alcune interessanti tesi universitarie. Nella grande maggioranza dei casi si è trattato di diesel, ma non sono mancati alcuni interessanti esempi di motori ad accensione per scintilla. Questo schema costruttivo è stato largamente adottato da varie aziende, alcune delle quali, come la Junkers, la Doxford e la Fairbanks-Morse, hanno indissolubilmente legato ad esso il loro nome.
Un motore senza testa, con un'unica camera di combustione per due cilindri
I motori a pistoni opposti hanno dalla loro una compattezza che può essere decisamente rimarchevole e possono raggiungere potenze molto elevate in relazione al peso. Non è presente alcuna testa e pure le valvole a fungo e i relativi organi di comando non ci sono. Il lavaggio (ossia la sostituzione dei gas combusti, all’interno del cilindro, da parte dell’aria) è molto buono, essendo del tipo a corrente unidirezionale. All’interno di ciascun cilindro ci sono due pistoni; quando arrivano nel punto di massima vicinanza lo spazio esistente tra loro costituisce la camera di combustione. Poi, durante il funzionamento del motore, si allontanano per andare verso i rispettivi punti morti inferiori (che in questo caso sarebbe più opportuno definire “esterni”).
“I motori a pistoni opposti hanno dalla loro una compattezza che può essere decisamente rimarchevole e possono raggiungere potenze molto elevate in relazione al peso”
A un certo punto uno di essi inizia a scoprire le luci di scarico e i gas combusti cominciano ad uscire dal cilindro a elevata velocità. Poi l’altro pistone scopre le luci di ammissione, praticate nel cilindro alla estremità opposta, rispetto a quelle di scarico, e l’aria entra, riempiendo rapidamente tutto lo spazio disponibile e completando l’espulsione dei gas combusti. Come ovvio, ci deve essere una pompa di lavaggio, che invia l’aria a queste luci. In genere si impiega un compressore volumetrico, quasi sempre del tipo a lobi (Roots), ma non mancano esempi di impiego di pompe alternative e di compressori centrifughi. In alcuni casi si utilizzano anche, in aggiunta a quelli comandati meccanicamente, dei compressori mossi dai gas di scarico (cioè dei turbo).
Diverse architetture
Lo schema impiegato più frequentemente prevede l’impiego di due alberi a gomiti, collegati da una cascata di ingranaggi cilindrici o, raramente, da un albero e due coppie di ingranaggi conici (questa soluzione è utilizzata dalla Fairbanks-Morse). Spesso la bancata dei cilindri è verticale e in tal caso un albero a gomiti è collocato superiormente alla bancata stessa e l’altro inferiormente; si ciascuna manovella è montata una biella, vincolata al relativo pistone. Non mancano comunque i motori con bancata dei cilindri orizzontale, realizzati con un identico schema.
Un’altra architettura costruttiva prevede che ci sia un unico albero a gomiti. In questo caso per ogni cilindro ci sono tre perni di manovella: quella centrale è collegata al pistone inferiore (facciamo sempre riferimento a una bancata verticale) mentre le altre due sono collegate, mediante lunghe bielle (una per lato) al pistone superiore. Quest’ultimo può essere vincolato a un piattello di diametro maggiore che funge da stantuffo della pompa di lavaggio alternativa (che in questo caso è ovviamente una per cilindro). Questa architettura è stata impiegata per i motori dei famosi autocarri Lancia Ro (2 cilindri, 3200 cm3, 64 CV) e Ro-Ro (tre cilindri, 4800 cm3, 95 CV ) degli anni Trenta, costruiti su licenza Junkers.
Un terzo schema prevede che la bancata di cilindri sia orizzontale e che ogni pistone sia vincolato, da una biella, a un grosso bilanciere a due bracci, la cui estremità provvede a muovere, tramite un’altra biella, l’albero a gomiti collocato inferiormente. Questa soluzione costruttiva può sembrare macchinosa, ma assicura una notevole compattezza; tra l’altro è stata impiegata con un buon successo su una intera famiglia di autocarri medi costruiti in Inghilterra tra il 1954 e il 1973 dalla Commer, del gruppo Rootes. Tra le aziende che hanno realizzato motori di questo tipo vanno citate almeno la svizzera Sulzer e la francese MAP.
Dai sottomarini ai carri armati
I motori a pistoni opposti erano già noti alla fine dell’Ottocento. In particolare sono stati i tedeschi Oechelhauser e Junkers (che hanno per diverso tempo lavorato assieme) ad adottare questa architettura motoristica. Proprio gli ottimi risultati ottenuti da Hugo Junkers sono stati determinanti per la diffusione dei motori di questo tipo. La sua azienda, ben presto diventata assai celebre in campo aeronautico, per anni ha mostrato la strada in questo campo e diversi motori diesel Junkers sono stati prodotti su licenza anche in Inghilterra, in Francia e in Italia. Spicca la serie dei sei cilindri d’aviazione (Jumo 204, 205 e 207), dal consumo estremamente ridotto (solo 160 g/CV h, un valore record per l’epoca) e dalle notevoli prestazioni complessive, che hanno avuto una discreta diffusione negli anni Trenta e Quaranta.
“Negli USA la Fairbanks-Morse ha realizzato migliaia di diesel di questo tipo (in versioni a 6, 8, 10 e 12 cilindri), che hanno avuto largo impiego sui sommergibili, sui locomotori diesel-elettrici e in campo industriale”
Negli USA la Fairbanks-Morse ha realizzato migliaia di diesel di questo tipo (in versioni a 6, 8, 10 e 12 cilindri), che hanno avuto largo impiego sui sommergibili, sui locomotori diesel-elettrici e in campo industriale. Alcuni di questi ultimi erano a ciclo Otto e venivano alimentati con gas naturale. In Inghilterra per lungo tempo la Doxford ha costruito grossi motori diesel a pistoni opposti destinati a impiego navale e ad installazioni fisse. Dopo la seconda guerra mondiale lo schema Junkers è stato ripreso da case come la Napier (che già produceva motori su licenza della azienda tedesca), la Rolls-Royce e la Leyland. Quest’ultima tra il 1960 e la fine degli anni Ottanta ha prodotto il sei cilindri L 60 destinato ai carri armati. La Napier ha impiegato il sistema a pistoni opposti per lo straordinario Deltic, dotato di tre bancate di sei cilindri ciascuna e di tre alberi a gomiti (uno per ciascun vertice del “triangolo”, con riferimento alla sezione trasversale). Questo incredibile motore è stato prodotto per diversi anni in versioni destinate alle motovedette veloci e ai locomotori, dando ottima prova di sé.
In Svizzera la Sulzer ha realizzato un notevole numero di diesel a pistoni opposti, a partire dalla seconda metà degli anni Trenta. Dopo il termine della seconda guerra mondiale non solo i progetti e quasi tutte le struttura produttive ma anche numerosi tecnici dalla Junkers sono andati a finire in Unione Sovietica dove, tra l’altro, lo sviluppo dei famosi Jumo 205 è proseguito.
I risultati sono stati evidentemente molto buoni, al punto che tuttora vari carri armati ucraini utilizzano motori a pistoni opposti che in pratica possono essere considerati dei 205 con la bancata dei cilindri disposta orizzontalmente invece che verticalmente. Si tratta dei Kharkiv Morozov con compressore centrifugo, montati sui carri da battaglia T-72, T-84 e T-90, la versione più performante dei quali eroga ben 1.200 cavalli.
Con una architettura a pistoni opposti sono stati realizzati anche alcuni interessanti motori a ciclo Otto (anche loro a due tempi, ovviamente); nessuno di essi è stato prodotto in serie, dato che erano destinati a mezzi da competizione o da record. Proprio a questa soluzione avevano pensato i tecnici della Fiat per la nuova vettura da Gran Premio della casa torinese, nel 1925. Il motore di 1500 cm3 a sei cilindri, denominato “tipo 451”, era sovralimentato mediante un compressore a lobi ed erogava oltre 150 cavalli.
I tentativi sulle due ruote
Pure i progettisti delle mitiche DKW da corsa degli anni Trenta, alla fine della evoluzione dei loro motori erano giunti alla conclusione che lo schema più vantaggioso era proprio quello a pistoni opposti. Il bicilindrico della loro ultima 250 da GP, sovralimentato da un compressore a palette, è stato costruito e provato. Avrebbe dovuto correre nel 1940 ma gli eventi bellici lo hanno impedito. La potenza specifica era di 190 CV/litro, un valore strabiliante per l’epoca. A uno schema analogo, ma senza compressore esterno (l’aspirazione avveniva nel carter), ha fatto ricorso la Piaggio per la sua Vespa da record che nel 1951 ha raggiunto i 171 km/h sul chilometro lanciato. Il motore aveva una potenza di circa 20 cavalli.