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Proprio così, perché se fino a una decina di anni fa l'arena era occupata soltanto da grandi aziende occidentali e giapponesi/coreane, adesso hanno fatto la loro irruzione sulla scena agguerritissimi player cinesi. Non solo: nell'arco di appena un paio di decenni la Cina si è imposta come leader delle quattro ruote e, soprattutto, dei veicoli elettrici. Che cosa significa tutto questo? Semplice: che il baricentro dell'industria automobilistica si sta spostando ad est.
Leggere nel futuro non è difficile, basta dare un'occhiata ad alcuni bullet points:
Provate a collegare i puntini e vedrete da voi le due tendenze politico-economiche in atto. La prima: in Cina, dove agisce la più grande economia digitale del pianeta, stanno emergendo nuovi attori automobilistici che considerano i veicoli alla stregua di dispositivi intelligenti. La seconda: di fronte alle tensioni internazionali e alle barriere commerciali, i principali brand cinesi accelereranno il passaggio dalle esportazioni di auto made in China alla globalizzazione della loro produzione e distribuzione.
Come ha fatto notare il sito Technode, nel 21esimo secolo la Cina è diventata il motore di crescita delle case automobilistiche mondiali, contribuendo, a partire dal 2000, alla quasi totalità dell'aumento della produzione e dei volumi di vendita dell'industria automobilistica. Risultato: i grandi brand globali delle quattro ruote si sono riversati oltre la Muraglia per vendere i loro prodotti a una popolazione di consumatori numerosa, sfruttando al contempo i vantaggi di scala e di costo per aumentare i margini unitari. Nel momento in cui leggete questo articolo, quasi un terzo di tutte le auto prodotte nel mondo sono realizzate in Cina. Attenzione però, perché il mercato automobilistico cinese è cambiato radicalmente a partire dal 2017: da questo momento in poi, infatti, la domanda si è spostata a favore dei veicoli a nuova energia, che sono aumentati di circa il 48% su base annua composta.
La Cina è un mercato automobilistico enorme, potenzialmente autonomo e con proprie regole rispetto al resto del pianeta. Al suo interno stanno dominando sempre di più i marchi locali, mentre i brand occidentali faticano a mantenersi a galla, avendo preferito continuare a puntare sui veicoli a combustione interna (a differenza dei loro competitor cinesi). L'irruzione del “pianeta Cina” significa che lo spazio d'azione globale delle grandi aziende europee e statunitensi si è ridotto ed è destinato ulteriormente a restringersi. Non solo: è lecito supporre che nel medio-lungo periodo possano configurarsi tre macro mercati globali dell'automotive: il blocco monolitico rappresentato dalla Cina, quello che racchiude i Paesi economicamente più sviluppati del pianeta (Stati Uniti, Europa, Giappone, Corea del Sud) e, infine, quello dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo (o Global South). Ebbene, se il primo è chiaro che sarà sempre più appannaggio delle aziende automobilistiche cinesi, il secondo dovrebbe mantenere in vita (in certi casi: tornare ad accogliere) i grandi brand europei, statunitensi, giapponesi e coreani. È interessante, invece, chiedersi cosa accadrà al terzo mercato. Ebbene, i consumatori e i governi di regioni quali l'Asia centrale, il Medio Oriente, il Sud-est asiatico, l'Africa e l'America Latina, potrebbero ripiegare con convinzione sui prodotti made in China, all'avanguardia ma molto più economici rispetto alle loro alternative occidentali. E non è finita qui, perché le stesse case automobilistiche del Dragone tanto apprezzate nel Global South, potrebbero anche essere accettate da alcuni governi appartenenti al “secondo blocco” dei Paesi sviluppati. Certo, dazi e tariffe permettendo.