Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su info@moto.it
Per lungo tempo sono stati davvero pochi i costruttori che, al di sopra di una certa cilindrata, non hanno avuto in produzione almeno un V6. Oggi la necessità di contenere i consumi (e le emissioni di CO2) ha reso vantaggiosa l’adozione di motori con un ridotto numero di cilindri, leggeri e compatti e comunque in grado di fornire prestazioni elevate grazie al sempre più largo impiego della sovralimentazione.
Questo ha portato a impiegare dei brillanti quadricilindrici turbo anche in una ampia parte del campo nel quale fino a pochi anni fa i sei cilindri regnavano indisturbati. Di motori con quest’ultimo frazionamento ce ne sono di meno, insomma, ma continuano a dominare la scena nelle cilindrate comprese tra 2,5 e 3,8 cm3. La loro architettura è quasi sempre a V. Le poche eccezioni nelle quali i sei cilindri in linea sono comunque rimarchevoli, dato che vedono in gioco costruttori come BMW e Volvo. In una categoria a sé stante rientrano poi i motori boxer.
Sei cilindri a V: il primo sulla Lancia Aurelia
Tra i motori a sei cilindri, dunque, sono quelli a V ad essere di gran lunga più diffusi. A questo proposito è interessante osservare che, per quanto riguarda la disposizione e il numero dei cilindri, mentre quasi tutte le altre soluzioni erano già state debitamente studiate e adottate nella pratica, per vedere il primo motore di questo tipo prodotto in gran serie è stato necessario attendere il 1950, anno nel quale ha fatto la sua comparsa la Lancia Aurelia.
In precedenza la Lancia, azienda davvero benemerita per la validità delle sue realizzazioni e per gli schemi tecnici innovativi con i quali esse erano realizzate, aveva prodotto una serie di raffinati motori a V stretto, creando in pratica una classe a sé stante e indicando una strada che molti anni dopo è stata imboccata dalla Volkswagen per i suoi VR6 e VR5. Dal 1922 al 1949 la casa torinese aveva costruito V4 e dei V8, con angoli tra le due linee di cilindri, alloggiate nella stessa fusione, compresi tra 17° e 24° (per quanto riguarda i V4 ha poi proseguito con le famose Appia e Fulvia).
Nel motore della Aurelia, progettato dall’ing. Francesco De Virgilio, la V tra le due bancate di cilindri non era “stretta” ma aveva un angolo di 60°. Con questa vettura la Lancia ha indicato una soluzione costruttiva che successivamente è stata adottata da un numero via via crescente di altri costruttori. Fino ad allora i motori a sei cilindri, tanto di serie quanto da competizione, avevano impiegato una architettura in linea. La soluzione proposta dalla casa torinese era razionale e aveva notevoli punti di forza. Non tutti però hanno saputo apprezzare in tempi brevi i vantaggi che essa offriva. I sei cilindri in linea hanno infatti continuato a dominare la scena ancora per numerosi anni, per quanto riguarda la produzione di serie. I costruttori inglesi e americani hanno cominciato a costruire i V6 assai prima di quelli giapponesi, che hanno iniziato ad adottare questa architettura solo nel corso degli anni Ottanta.
V6: più compatto di un sei cilindri in linea
I motori a sei cilindri in linea sono sempre stati apprezzati per la loro eccellente equilibratura, superiore non solo a quella dei quadricilindrici con eguale architettura, ma anche a quella dei V8. Sono però molto lunghi, il loro albero a gomiti poggia su sette supporti (indispensabili, a meno che le prestazioni non siano modeste) e il peso tende ad essere considerevole. L’idea della Lancia era quella di realizzare un motore con questo frazionamento dotato di una maggiore compattezza. Disponendo i cilindri a V sicuramente l’ingombro longitudinale risulta nettamente inferiore; inoltre l’albero può essere più corto e rigido e poggiare su quattro supporti di banco soltanto.
Per l’Aurelia è stata scelta la soluzione più “rigorosa”, che nel caso di un frazionamento su sei cilindri prevede due bancate inclinate tra loro di 60°. In questo modo si ottiene l’equidistanza tra le fasi utili, ovvero tra gli “scoppi” del motore, e le forze d’inerzia risultano equilibrate (ma non le coppie); l’albero a gomiti deve però essere dotato di sei perni di manovella, ovvero uno per ogni biella. Risultati analoghi si possono ottenere con una V di 120°, che può anche permettere l’impiego di un albero più rigido e semplice, con tre soli perni di manovella (su ognuno dei quali lavorano affiancate due bielle). Il motore però risulta nettamente più largo, e ciò rende l’architettura in questione non molto appetibile, per un normale impiego automobilistico (e infatti non la usa nessuno). Giova però ricordare che il campionato mondiale di Formula Uno del 1961 è stato conquistato dalla Ferrari utilizzando, in quasi tutte le gare, un motore nel quale la V era appunto di 120°.
“Il campionato mondiale di Formula Uno del 1961 è stato conquistato dalla Ferrari utilizzando, in quasi tutte le gare, un motore nel quale la V era appunto di 120°”
I V6 con angolo a 90°
Molti V6 moderni adottano un angolo tra le bancate dei cilindri di 90°, che consente di impiegare per i basamenti le stesse linee sulle quali si lavorano i V8 (e permette di ottenere un minore ingombro in altezza rispetto ai motori con V di 60°). In questo caso sono possibili due diverse soluzioni, per quanto riguarda l’albero a gomiti. Una prevede tre soli perni di manovella, disposti a 120° uno dall’altro, su ciascuno dei quali sono montate affiancate due bielle (che “servono” due cilindri, ognuno dei quali appartiene a una bancata diversa). In questo caso l’albero è particolarmente rigido e di semplice fabbricazione, ma non si può ottenere l’equidistanza tra le fasi utili. Gli “scoppi” sono infatti distanziati di 150°…90°…150°…90°… Le forze d’inerzia sono equilibrate, ma una coppia non è bilanciabile.
L’altra soluzione prevede un albero con tre manovelle, ognuna delle quali è dotata di due perni “sfalsati”, in quanto separati uno dall’altro di 30°, cosa che consente di ottenere una distanza angolare uniforme tra le fasi utili (con gli scoppi che si susseguono ogni 120°). A parità di diametro dei perni l’albero ha una rigidezza minore. Pure in questo caso le forze d’inerzia sono equilibrate, ma non le coppie. Le vibrazioni sono piuttosto contenute, ma negli ultimi anni alcuni costruttori hanno comunque ritenuto opportuno dotare di un albero ausiliario di equilibratura i loro motori realizzati con questo schema.
La raffinata Aurelia è stata per diverso tempo una delle migliori vetture della sua categoria. Dati gli ottimi risultati ottenuti, nel 1957 la Lancia ha adottato un motore avente una architettura analoga anche per la sua nuova ammiraglia, ossia la Flaminia. Nella prima metà degli anni Cinquanta la casa torinese ha realizzato pure alcune formidabili vetture da corsa, per le gare della categoria Sport, che si sono imposte in competizioni durissime e di straordinario prestigio come la Mille Miglia, la Targa Florio e la Carrera Panamericana e che erano munite di motori a sei cilindri a V di 60° (dotati in questo caso di distribuzione bialbero).
Ferrari segue l'esempio di Lancia
Dopo il ritiro della casa torinese dalla attività agonistica è stata la Ferrari a realizzare motori da competizione di questo tipo, iniziando ben presto la serie dei suoi Dino, nei quali l’angolo tra le due bancate di cilindri era di 65° (l’apertura leggermente maggiore pare agevolasse la realizzazione di condotti di aspirazione dall’andamento vantaggioso e il piazzamento dei carburatori) . Nel 1958 il titolo iridato è stato conquistato da Mike Hawthorn alla guida di una splendida monoposto azionata da uno di questi V6. In seguito la casa di Maranello ha impiegato motori di tipo analogo, ma con una cilindrata di 1500 cm3, per le sue monoposto di Formula Uno che hanno gareggiato nei primi anni Sessanta; di tali unità motrici sono state realizzate due versioni, con angolo tra le bancate rispettivamente di 65° e di 120°.
Tornando alle vetture di serie, nel 1962 la Buick ha messo in produzione un sei cilindri di 3,2 litri nel quale la V era di 90°; l’albero a gomiti aveva la geometria più semplice, con tre soli perni di manovella. Si rinunciava quindi alla regolarità ciclica e, anche se erano altri tempi, non si può dire che la cosa sia piaciuta proprio a tutti gli utenti. Nel corso degli anni Sessanta alcuni costruttori europei hanno essi pure imboccato la strada del V6. Basta ricordare la Ford, con una V di 60°, e la Fiat Dino, frutto di un accordo con la Ferrari, con una V di 65° (quest’ultimo motore si è poi evoluto in quello che ha equipaggiato la famosa Stratos).
I sei cilindri a V spopolano a partire dagli anni '70
Nel decennio successivo vanno segnalati il motore francese PRV (destinato a Peugeot, Renault e Volvo), con V di 90°, e l’Alfa Romeo, con V di 60°, destinato ad avere una lunga e fortunata carriera. Nel 1977 il V6 di 90° della Buick è stato dotato di un albero con perni di manovella sfalsati, per ottenere l’equidistanza tra le fasi utili. Nello stesso periodo ha fatto la sua comparsa sulle piste il 1500 turbo della Renault, con sei cilindri a V di 90°. Per buona parte degli anni Ottanta i mondiali di Formula Uno sono stati appannaggio dei motori sovralimentati mediante turbocompressore, per i quali uno schema a sei cilindri a V è stato adottato da Ferrari, Porsche-TAG e Honda (negli ultimi due casi con un angolo tra le bancate di 80°).
“Per i V6 di serie, gli anni Novanta sono stati davvero un periodo d’oro”
Per i V6 di serie, gli anni Novanta sono stati davvero un periodo d’oro. In aggiunta a quelli dei principali costruttori giapponesi, da poco comparsi, sono entrati in scena anche i motori realizzati dalla Audi e dalla Mercedes (a V di 90°) e quello della Opel (con un inedito angolo di 54°). Oggi nel panorama automobilistico mondiale spiccano eccellenti V6, con angolo tanto di 60° (sono i più numerosi) quanto di 90°, anche se la loro popolarità appare leggermente in declino. Non si deve però dimenticare che le monoposto di Formula Uno a partire dal 2014 sono dotate di motori turbo con sei cilindri a V