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Questo è un articolo tecnico-storico nel quale si parla di motori per auto di un tipo oramai scomparso dalla scena, alcuni dei quali sono stati comunque molto significativi nel periodo compreso tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta. Per quanto riguarda le immagini, niente vetture, ma sezioni e spaccati di unità motrici che sicuramente sono ancora nel cuore di tanti.
Due scuole di pensiero
Per lungo tempo il raffreddamento ad aria è stato esclusivo, o quasi, dei settori motociclistico e aeronautico; in quest’ultimo ha lottato a lungo con il raffreddamento ad acqua per la superiorità. C’erano i sostenitori di entrambe le soluzioni, con ottimi argomenti in tutti e due i casi. Da un lato gli stellari raffreddati ad aria erano leggeri, corti, e, pare, meno “vulnerabili” in combattimento (non c’erano radiatori e tubi del fluido refrigerante che potevano essere forati da un proiettile).
Dall’altro i motori refrigerati ad acqua, opportunamente miscelata con glicol-etilene, consentivano di realizzare velivoli con una migliore profilatura aerodinamica, derivante da una minore sezione frontale. Dopo la seconda guerra mondiale i motori a reazione, nelle varie esecuzioni (turboelica, turbofan), hanno preso il posto di quelli a pistoni. Gli ultimi importanti rappresentanti di questi ultimi sono stati comunque alcuni grossi stellari utilizzati sui velivoli passeggeri e da trasporto. Di una raffinatezza tecnica straordinaria, sono arrivati a impiegare teste forgiate, con alette ottenute per lavorazione meccanica, e basamenti in lega di alluminio o in acciaio, realizzati per stampaggio a caldo. Chi non ha mai sentito il canto di un grosso stellare si è davvero perso qualcosa…
In seguito i motori a pistoni raffreddati ad aria hanno continuato a essere impiegati in campo aeronautico solo in versioni di piccola cilindrata, il più delle volte con una architettura a cilindri contrapposti, destinate a velivoli leggeri.
Uno sviluppo tecnico straordinario
Gli imponenti investimenti da parte degli stati industrializzati e dei costruttori di motori avio hanno portato a uno straordinario sviluppo della tecnica, del quale si sono potute giovare negli anni seguenti le industrie dell’auto e della moto. Per quanto riguarda quest’ultima, la scelta del raffreddamento ad aria è stata per lunghissimo tempo la più logica. Per la sua semplicità e per la sua leggerezza è infatti ideale per mezzi nei quali la testa e il cilindro del motore durante la marcia sono lambiti, a notevole velocità, direttamente dall’aria (ovvero dal “vento della corsa”).
Poi la corsa a prestazioni sempre più elevate, con teste plurivalvole compatte e “affollate”, ha determinato l’affermazione del raffreddamento ad acqua, dapprima per i modelli più sportivi e quindi anche per molti tra quelli di altro tipo. Pure l’adozione di carenature complete e l’esigenza di rispettare severi limiti in fatto di emissioni hanno avuto un peso considerevole, in molti casi.
Ma le auto non sono le moto
Per le auto le cose stanno diversamente, in quanto il motore è completamente racchiuso dalla carrozzeria. Questo rende obbligatorio, nel caso di raffreddamento ad aria, il ricorso a una ventola abbinata a un convogliatore accuratamente studiato. Fino alla metà degli anni Trenta a questa soluzione hanno fatto ricorso soltanto pochissimi costruttori, in genere di vetture ultrautilitarie. Una notevole eccezione è costituita dalla americana Franklin, fedele a questo tipo di refrigerazione su modelli che non erano certo di cilindrata contenuta, e interessanti sono state anche le proposte del francese Voisin.
Assai importante è stata la Tatra con il suo V8, largamente impiegato anche nel dopoguerra. Poi è entrata in scena la Volkswagen di quell’autentico genio che è stato Ferdinand Porsche e lo scenario è cambiato profondamente…
Come ottimizzare la refrigerazione
Per ottenere una adeguata refrigerazione del motore si fa ricorso a un fluido che viene inviato a lambire le superfici esterne della testa e del cilindro. L’asportazione di calore ha luogo principalmente per convezione forzata. Il coefficiente di scambio termico tra le superfici metalliche e l’acqua è molto più elevato di quello tra le superfici metalliche e l’aria. Per questa ragione se il raffreddamento è ad aria si aumenta la superficie che viene lambita dal fluido dotando testa e cilindro di numerose e ben dimensionate alette.
“I punti di forza del raffreddamento ad aria sono costituiti dalla notevole semplicità, dalla leggerezza e dal fatto che non esistono pericoli di perdite, di ebollizione o di congelamento del liquido refrigerante, dato che esso non c’è. Inoltre il riscaldamento del motore è molto rapido”
È bene ricordare che il fluido al quale alla fine viene ceduto il calore è comunque sempre l’aria; per questa ragione il raffreddamento ad aria viene talvolta definito “diretto” e quello ad acqua “indiretto”. In questo secondo caso il liquido infatti serve per prelevare calore da testa e cilindro e trasportarlo al radiatore ove esso viene ceduto all’aria.
I punti di forza del raffreddamento ad aria sono costituiti dalla notevole semplicità (niente radiatore, pompa, manicotti), dalla leggerezza e dal fatto che non esistono pericoli di perdite, di ebollizione o di congelamento del liquido refrigerante, dato che esso non c’è. Inoltre il riscaldamento del motore è molto rapido.
D’altro canto il raffreddamento ad acqua consente di asportare calore anche da zone nelle quali l’aria non potrebbe arrivare (ad esempio, tra le sedi delle valvole di scarico), assicura una refrigerazione più vigorosa, portando le temperature di lavoro dei vari organi a livelli inferiori a quelli che essi raggiungerebbero se il motore fosse raffreddato ad aria. Consente inoltre un miglior controllo termico del motore e assicura una migliore uniformità nella distribuzione delle temperature. Importanti sono i vantaggi a livello del contenimento delle emissioni acustiche. Il motore infine può essere più compatto (per via del minore interasse tra le canne dei cilindri).
Il boxer Volkswagen
Il quadricilindrico boxer della Volkswagen è stato progettato all’insegna della massima robustezza e semplicità. Inoltre, doveva avere un costo di produzione contenuto e, poiché era montato a sbalzo, dietro l’asse delle ruote posteriori, doveva essere molto leggero. Il raffreddamento ad aria appariva quindi ideale. Fin dall’inizio Ferdinand Porsche aveva previsto l’impiego di un basamento e di una scatola del cambio in lega di magnesio, materiale dotato di una densità notevolmente inferiore, rispetto alle leghe di alluminio. Inizialmente l’azienda si è affidata a fonderie esterne, ma in seguito ha realizzato una grande struttura interna per la produzione di questi e altri componenti.
Gli esemplari di preserie del Maggiolino sono stati costruiti nel 1938, e la produzione successiva è stata destinata a impiego militare. La fabbricazione in serie della vettura per normale uso stradale è cominciata solo dopo il termine della seconda guerra mondiale. Nel 1949 la casa di Wolfsburg ha potuto ricominciare a utilizzare il magnesio. Il motore nella versione di 1131 cm3 (alesaggio e corsa = 75 x 64 mm) erogava 25 CV a 3300 giri/min. Nel 1954 la cilindrata è diventata di 1192 cm3 e la potenza è salita a 30 CV 3400 giri/min, portati poi a 34 a 3600.
La Tatra già attorno alla metà degli anni Trenta aveva in produzione un bellissimo V8, dalla tecnica raffinata, per la sua T 77, una vettura a motore posteriore molto avanzata sotto l’aspetto aerodinamico. Il modello più famoso della casa cecoslovacca è stato il 603, prodotto dal 1956 al 1975.
La versione del V8 che equipaggiava questa vettura di indubbio prestigio aveva una cilindrata di 2472 cm3, ottenuta abbinando un alesaggio di 75 mm con una corsa di 70 mm. La distribuzione era ad aste e bilancieri, con albero a camme collocato in posizione molto rialzata, tra la V delle due bancate dei cilindri. Le valvole erano inclinate e le camere di combustione avevano una forma emisferica. La potenza era di 105 CV a 4800 giri/min. Il flusso dell’aria di raffreddamento veniva attivato da due ventole assiali.