I motori raffreddati ad aria (VII parte). Dalla Porsche 356 alla 993

I motori raffreddati ad aria (VII parte). Dalla Porsche 356 alla 993
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La straordinaria raffinatezza tecnica dei boxer a sei cilindri Porsche, portati a un incredibile livello di sviluppo nel corso degli anni e grandi protagonisti di indimenticabili stagioni agonistiche | <i>M. Clarke</i>
13 agosto 2014

Nella storia della tecnica automobilistica una casa ha legato il suo nome al raffreddamento ad aria più di qualunque altra. Si tratta della Porsche, che per decenni è stata la grande paladina di questo sistema di refrigerazione a livello di modelli non solo di serie, ma anche da competizione. Per quanto riguarda questi ultimi, basta pensare che l’ultima versione della mitica 917 sovralimentata, allestita per il campionato Can-Am, erogava 1100 cavalli, e questo in gara, non in una versione da qualifica (al banco si sono visti oltre 1300 CV!).

Un dominio schiacciante

Nel 1973 questa vettura ha vinto tutte le gare alle quali ha preso parte… Il motore a dodici cilindri orizzontali contrapposti, aveva l’albero a gomiti con presa di moto centrale, distribuzione bialbero a due valvole per cilindro e naturalmente era raffreddato ad aria. Si trattava della versione con due turbocompressori del motore aspirato che aveva vinto a Le Mans nel 1970 e nel 1971.

Pure il primo motore turbo a trionfare nella famosa 24 ore francese (nel 1976) è stato prodotto dalla Porsche ed era raffreddato ad aria; era un sei cilindri di 2,2 litri raffreddato ad aria, montato nella 936, che erogava circa 520 CV a 8000 giri/min, con una pressione di sovralimentazione di 1,2 bar. I boxer turbo della casa di Stoccarda hanno vinto ben 14 volte a Le Mans, tra il 1976 e il 1998.

Sostituire la 356

All’inizio degli anni Sessanta la 356 cominciava a mostrare i segni dell’età e appariva chiaro che era necessario studiare un nuovo modello di serie, dotato di una estetica più moderna e, soprattutto, azionato da un nuovo motore, non più di derivazione Volkswagen, in grado di fornire prestazioni sensibilmente superiori. Il grande impegno dei progettisti della Porsche ha portato alla realizzazione della 911, presentata al salone di Francoforte del 1963 (in origine si sarebbe dovuta chiamare 901).

Il motore era un inedito sei cilindri, sempre boxer e sempre raffreddato ad aria, nel quale la Porsche adottava soluzioni alle quali sarebbe stata fedele per decenni, come la distribuzione monoalbero comandata a catena, la lubrificazione a carter secco, le teste singole (come i cilindri) e le camere di combustione emisferiche. Si trattava tutto sommato di quanto di meglio la tecnica motoristica dell’epoca era in grado di offrire. Tanto le bielle quanto i supporti di banco erano dotati di bronzine.

1 porsche 911 sezione trasversale
La sezione trasversale del motore a sei cilindri della 911 mostra chiaramente la disposizione degli alberi a camme (uno per ciascuna bancata) e delle due valvole di ogni cilindro, inclinate tra loro di 60°

Raffinate soluzioni progettuali

Alle tre teste di ogni bancata veniva fissato un “castello” (ovvero un “sopratesta”) nel quale erano alloggiati l’albero a camme e i bilancieri a due bracci che comandavano le valvole. I cilindri nella versione base di questo motore erano in ghisa, con canna integrale. Le teste erano fuse in conchiglia in lega di alluminio termoresistente al 4% di rame. L’angolo tra le valvole (che avevano un diametro di 39 mm alla aspirazione e di 35 mm allo scarico) era di 60°.

I pistoni a mantello intero erano fusi in lega di alluminio al 12% di silicio; ciascuno di essi veniva collegato al relativo perno di manovella da una biella in acciaio forgiato del peso di 677 grammi. L’albero a gomiti era dotato di sette perni di banco da 57 mm (stesso diametro di quelli di biella), più un perno ausiliario da 31 mm, ricavato nella estremità opposta al volano, dove si trovava l’ingranaggio che comandava l’albero ausiliario posto nella parte inferiore del basamento.

Tale albero provvedeva a comandare le due catene duplex a rulli che azionavano gli alberi a camme (uno per ogni bancata di cilindri) e le due pompe dell’olio. Il basamento era costituito da due parti simmetriche, che si univano secondo un piano verticale longitudinale, fuse in lega di alluminio all’8% di silicio. Il circuito di lubrificazione prevedeva una pompa di mandata e una di recupero, entrambe a ingranaggi.

Per non dover fare ricorso a una pressione di mandata molto elevata, l’olio destinato a lubrificare le bronzine di biella entrava nell’albero dal perno di banco ausiliario. La canalizzazione di ingresso era, come di consueto, radiale e in questo modo per vincere la forza centrifuga era sufficiente una pressione minore, rispetto a quella che sarebbe stata necessaria se la canalizzazione stessa fosse stata praticata negli altri perni di banco, che avevano un diametro maggiore.

2 porsche 911 sezione longitudinale
Nella sezione longitudinale si possono notare i sette supporti principali dell’albero a gomiti (più uno aggiuntivo, di minor diametro, alla estremità ove si trova il comando della distribuzione)

Il sei cilindri boxer della prima 911

Il sei cilindri boxer della prima 911 aveva una cilindrata di due litri, ottenuta con un alesaggio di 80 mm e una corsa di 66 mm. La potenza era di 130 cavalli a 6100 giri/min.

Questo motore è stato il capostipite di una incredibile serie di versioni successive, con cilindrate e prestazioni via via maggiori, diverse delle quali sovralimentate (a partire dal 1975, anno nel quale è entrata in produzione la prima 911 Turbo, da 260 cavalli), e perfino di vari modelli da competizione di grande successo, gli ultimi dei quali avevano teste bialbero a quattro valvole, con raffreddamento ad acqua (prima che arrivassero i nuovi sei cilindri completamente refrigerati a liquido).

Tutto questo, mantenendo inalterato lo schema costruttivo originale, a testimonianza della grande validità delle scelte tecniche di base. I miglioramenti via via apportati non hanno riguardato solo le misure caratteristiche (e quindi anche le dimensioni delle valvole), ma hanno interessato anche i materiali e i trattamenti superficiali. Ben presto i cilindri in ghisa (che pesavano 2020 grammi ciascuno) sono stati sostituiti da quelli che la Mahle chiamava Biral, con canna in ghisa incorporata, mediante pressofusione, in una struttura fittamente alettata in lega di alluminio; la soluzione assicurava un migliore smaltimento del calore e consentiva una notevole diminuzione del peso, che passava a 1570 grammi per ogni cilindro.

La 906 da competizione

Sul motore della 906 da competizione si impiegavano nel 1966 cilindri Cromal, in lega di alluminio con canna cromata (1095 grammi ciascuno); per inciso, in questo motore le bielle erano in titanio. Sono poi arrivati i cilindri con riporto Nikasil, dalle eccellenti caratteristiche e dal peso di 1135 grammi; venivano utilizzati sulla 911 RS (Carrera 2,7) già nel 1972. E in alcune versioni di questi splendidi motori la Porsche ha montato anche cilindri senza alcun rivestimento superficiale, fusi in lega al 17% di silicio, abbinandoli a pistoni dotati di riporto sul mantello, e cilindri Ferral, in lega di alluminio con uno strato di lega ferrosa applicato sulla superficie di lavoro mediante spruzzatura termica.

Sul motore della 906 da competizione si impiegavano nel 1966 cilindri Cromal, in lega di alluminio con canna cromata (1095 grammi ciascuno); per inciso, in questo motore le bielle erano in titanio


Nel corso degli anni la cilindrata dei motori aspirati è passata a 2,2 litri (da fine 1969), quindi a 2,4 e a 2,7 litri, quest’ultima prodotta in gran serie dal 1973 al 1977, anno nel quale ha fatto la sua comparsa la versione di 3,0 litri, che è stata seguita da quelle di 3,2 e infine di 3,6 litri. Queste diverse cubature sono state aumentando via via il diametro dei cilindri, la corsa o entrambi. Gli alberi a gomiti sono stati prodotti con quattro diverse corse (da 66 a 76,4 mm), mentre gli alesaggi impiegati sono stati sette (da 80 a 100 mm).

Per quanto riguarda i modelli da corsa, nella prima metà degli anni Settanta la Porsche ha adottato con decisione la strada della sovralimentazione mediante turbocompressore. Le famose 935 e 936, per diverso tempo grandi protagoniste della scena sportiva, erano azionate da versioni appositamente sviluppate per impiego agonistico dei motori a sei cilindri contrapposti, per le quali sono state anche realizzate teste bialbero a quattro valvole raffreddate ad acqua. Le cilindrate adottate sono state determinate dai regolamenti tecnico-sportivi dell’epoca.

3 spaccato porsche 911
Il motore della 911 aveva la lubrificazione a carter secco, con pompe azionate dallo stesso albero ausiliario che comandava gli alberi a camme per mezzo di due catene

Alessaggio maggiorato e valvole più grandi

L’aumento dell’alesaggio ha consentito anche di montare, nelle versioni della 911 che via via si succedevano, valvole di maggior diametro; quella di aspirazione è passata così da 39 a 49 mm, mentre quella di scarico dagli originali 35 mm è cresciuta fino a 42,5 mm. Il graduale aumento delle prestazioni ha portato assai presto alla adozione di pistoni forgiati, per il cui raffreddamento si è fatto poi ricorso a getti di olio, emessi da appositi ugelli.

L’incremento delle sollecitazioni termiche derivanti dalla elevata pressione di sovralimentazione ha portato, nelle ultime versioni turbo, a realizzare le teste (sempre fuse in conchiglia) nella costosa lega RR 350, contenente, oltre al 5% di rame, minori ma importanti quantità di nichel, cobalto, antimonio e zirconio. A partire dagli ultimi mesi del 1969, per un certo periodo per il basamento è stata impiegata la lega di magnesio AZ 81, grazie alla quale si è ottenuta una diminuzione di peso di questo componente dell’ordine del 37% rispetto alla versione precedente, in lega di alluminio.

In entrambi i casi il procedimento produttivo utilizzato era la pressofusione. È importante però segnalare che in seguito i tecnici della Porsche sono tornati alla lega di alluminio con elevata percentuale di silicio, dotata di una maggiore densità, ma anche di superiori caratteristiche meccaniche.

Per tutta la lunga storia del sei cilindri boxer raffreddato ad aria l’attività di ricerca e di sviluppo tesa a migliorarne le prestazioni è stata intensa e continua. L’incredibile numero di soluzioni studiate, provate e in molti casi adottate, e la conseguente evoluzione che si è svolta senza conoscere soste, fanno di questo motore qualcosa di unico nel panorama automobilistico mondiale.

4 testa porsche 911
Le teste erano costituite da fusioni individuali in lega di alluminio, debitamente alettate. Le guide e le sedi delle valvole erano installate con interferenza

I limiti

A un certo punto però non è stato più possibile aumentare ulteriormente le prestazioni e rientrare nei sempre più severi limiti di emissione mantenendo il raffreddamento ad aria e le teste a due valvole. Le sollecitazioni termiche stavano diventando troppo elevate e l’adozione di quattro valvole per cilindro, con un modesto angolo di inclinazione (cosa indispensabile per ottenere camere di combustione compatte) rendeva indispensabile il passaggio al raffreddamento ad acqua.

La realizzazione di passaggi per l’aria in grado di assicurare una adeguata refrigerazione, specialmente nella zona tra le valvole di scarico e tra di esse e la candela, non era infatti possibile. La soluzione ad acqua consentiva di asportare una maggiore quantità di calore, di ottenere una più uniforme distribuzione delle temperature e agevolava il conseguimento di un buon controllo termico del motore. Inoltre, offriva dei vantaggi anche per quanto riguarda il contenimento delle emissioni acustiche.

È interessante segnalare che la Porsche aveva realizzato teste a quattro valvole con raffreddamento ad acqua, che ha impiegato su svariati motori da corsa (con i cilindri che continuavano ad essere raffreddati ad aria), già negli anni Settanta. Per quanto riguarda i modelli di serie, questa soluzione è apparsa sulla 959 con doppio turbocompressore da 450 cavalli a 6500 giri/min, presentata come prototipo nel 1985 e poi prodotta in circa 300 esemplari.

Questa vettura straordinaria aveva la trazione integrale e si è imposta tanto nella Parigi Dakar quanto nella sua classe a Le Mans. La storia dei motori Porsche con raffreddamento ad aria è terminata nel 1998 con l’apparizione della nuova generazione di boxer a sei cilindri refrigerati a liquido.

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