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Proprio alcuni giorni fa ha lasciato l’Italia, acquistata da un collezionista estero, una monoposto dotata di un motore a dodici cilindri disposti su tre bancate. Si tratta della Life di Formula Uno, il cui W 12 era stato progettato, proprio al termine degli anni Ottanta, da Franco Rocchi, che oramai era in pensione, dopo avere lavorato in Ferrari per oltre un trentennio.
Questo evento fornisce l’occasione per parlare brevemente dei motori a W, ovvero a tre bancate di cilindri, quasi una curiosità (ma con non trascurabili punti di forza!) per il settore automobilistico, ma che hanno conosciuto una certa popolarità in ambito aeronautico negli anni Venti e, successivamente, anche in campo navale. Per quanto riguarda i veicoli terrestri, sono legati a diversi eccezionali primati di velocità.
Le origini
Antenati di queste realizzazioni possono in un certo senso essere considerati i motori con tre cilindri a ventaglio realizzati da Buchet nel 1904, pare per uso motociclistico, e soprattutto da Anzani, che li produsse in serie per impiego aeronautico a partire dal 1909. In tale anno Bleriot fu il primo a compiere la traversata della Manica utilizzando proprio un tricilindrico a W di 60° costruito da Alessandro Anzani.
In seguito, per assistere alla comparsa dei primi motori a tre bancate di cilindri, disposte a W, non è stato necessario attendere molto. A questa soluzione costruttiva hanno pensato vari progettisti che operavano in campo aeronautico. Louis Coatelen disegnò per la Sunbeam un W 12 nel 1915 e l’anno successivo la Salmson costruì un motore di analoga architettura (tre bancate di quattro cilindri ciascuna), che rimase allo stadio di prototipo.
A lanciare davvero questa architettura è stato A. Rowledge della Napier, che nel 1916 iniziò a progettare il Lion, un 12 cilindri a W di 60° con distribuzione bialbero e quattro valvole per cilindro. Questo motore, che è entrato in produzione troppo tardi per prendere parte al primo conflitto mondiale, erogava 450 cavalli nella versione iniziale. Negli anni successivi ha avuto un grande successo ed è stato prodotto in numeri considerevoli e in varianti via via più potenti.
L’eccellente Lion ha una grande importanza nella storia della tecnica in quanto da un lato ha dato origine a una nutrita serie di motori aeronautici realizzati con schema analogo e dall’altro è stato impiegato su autoveicoli da record che tra il 1927 e il 1947 hanno conquistato per ben sei volte il primato assoluto di velocità pilotati da Malcolm Campbell e da John Cobb.
Inoltre, la produzione di questo W 12 (che, con cilindrata portata a 26,9 litri e in versione sovralimentata, è arrivato a erogare oltre 1400 cavalli) è continuata anche dopo che non veniva più utilizzato sugli aerei, per le motosiluranti e le motovedette (variante denominata giustamente Sea Lion).
Tornando al settore avio, nel 1916/18 la Daimler ha realizzato, in un numero ridotto di esemplari, un W 18 (tre bancate di sei cilindri ciascuna) con cilindrata di 44 litri, erogante oltre 500 cavalli. Negli anni Venti il numero dei costruttori di motori d’aviazione con architettura a W, tanto a 12 quanto a 18 cilindri, è stato considerevole ed ha annoverato nomi importanti come Hispano-Suiza, Lorraine Dietrich, Farman e Renault.
Un posto di rilievo spetta alla Isotta Fraschini con il suo Asso 750, prodotto a partire dal 1927 su progetto di Giustino Cattaneo. Si trattava di un eccellente 18 cilindri a W di 40° con distribuzione bialbero a quattro valvole che, con una cilindrata di 47 litri, erogava 850 cavalli. Suoi diretti discendenti possono essere considerati i motori a ciclo diesel per impiego marino costruiti in seguito dalla CRM.
Dal cielo alla terra
Negli anni Trenta i motori a tre bancate sono rapidamente scomparsi dalla scena aeronautica, ma la loro storia non è certo finita. Non se ne è parlato più, anche se in altri settori hanno continuato ad essere presenti, sia pure in numeri modesti, fino agli anni Sessanta, quando su di essi si è concentrata, più o meno contemporaneamente, l’attenzione di due grandi progettisti di motori automobilistici da competizione, Harry Mundy e Franco Rocchi.
Il primo era stato alla BRM, impegnato sul progetto del 16 cilindri sovralimentato di 1500 cm3, ed era poi passato alla Coventry Climax, per la quale aveva lavorato sui motori da competizione negli anni Cinquanta. Dal 1963 era alla Jaguar (che aveva acquisito la Coventry Climax), per la quale ideò un motore W 12, destinato alla nuova Formula Uno di 3000 cm3, che sarebbe entrata in vigore nel 1966.
Gli obiettivi tecnici
L’idea alla base di questa architettura era non solo quella di ottenere un minore ingombro longitudinale, ma principalmente quella di poter “accordare” meglio gli scarichi, come se si fosse trattato di tre motori a quattro cilindri uniti tra loro, cosa che aveva una considerevole importanza ai fini delle prestazioni. Vennero tracciati i primi disegni, ma non fu possibile realizzare il prototipo, per via della politica aziendale che all’epoca era orientata solo in direzione della produzione di serie e non prevedeva più impegni in campo agonistico.
A livello di progetto erano previsti un alesaggio di 79 mm e una corsa di 51 mm; l’angolo tra le bancate era di 60° e l’albero, poggiante su cinque supporti di banco, era dotato di quattro perni di manovella, su ognuno dei quali erano montate, una a fianco dell’altra, tre bielle. Le teste erano bialbero a quattro valvole; la potenza prevista era di 460 cavalli a un regime dell’ordine di 11800 giri/min.
Franco Rocchi aveva pensato a un motore di analogo schema e aveva realizzato in Ferrari un “modulo” di tre cilindri nel 1967, per provare la bontà del progetto. Furono effettuate svariate prove al banco, con esiti interessanti, ma non tali da giustificare l’abbandono del 12 cilindri di schema convenzionale. Il motore era caratterizzato dalla sigla P3C e l’angolo tra le bancate era di 80°. In questo caso il frazionamento era su 18 cilindri (tre bancate di sei cilindri ciascuna). Il modulo di 500 cm3, con distribuzione bialbero ma con solo due valvole per cilindro, aveva fornito 80 CV a circa 11000 giri/min. Il manovellismo era del tipo con biella madre e biellette.
Negli anni '80 il ritorno
Dopo diversi anni l’architettura a tre bancate è tornata in scena grazie al tecnico-inventore francese Guy Negre, che nel 1988 ha realizzato un W 12 (con angolo tra le bancate di 60°) destinato ad essere impiegato su una monoposto di Formula Uno, con distribuzione a valvole rotanti (!). L’iniziativa si è ben presto arenata.
L’anno successivo la Mazda ha presentato al salone di Tokyo un prototipo W 12 che non ha però avuto alcun seguito. È stato nello stesso periodo che Rocchi ha disegnato il W 12 Life, contraddistinto dalla sigla F 35. Questo motore di 3,5 litri con distribuzione bialbero a quattro valvole per cilindro pare avesse un alesaggio di 85 mm e una corsa di 51 mm. L’angolo tra le bancate era di 60° e il manovellismo del tipo a biella madre e biellette. Le prove al banco hanno avuto luogo nel 1989 e sono state seguite da alcune uscite in pista nel 1990. Per quanto riguarda le prestazioni, si parlava di circa 600 cavalli a 12000 giri/min.
Nel 1991 l’Audi ha presentato la Avus quattro, una vettura sport-prototipo azionata da un motore W 12 avente una cilindrata di 6,0 litri con distribuzione bialbero a cinque valvole per cilindro, che forniva 510 cavalli a 5800 giri/min. Nel 1993 ha fatto la sua comparsa una nuova versione di 4,8 litri erogante 354 CV a 6300 giri/. In seguito la casa tedesca per le sue realizzazioni di prestazioni più elevate ha preferito orientarsi su motori costituiti dall’accoppiamento di due bancate a V stretto. Sembrerebbe così terminare la storia dei motori a tre bancate in campo auto, ma non è detta
l’ultima parola…