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Dopo il termine della Seconda Guerra Mondiale nonostante le difficili condizioni diversi tecnici hanno iniziato a lavorare alacremente alla realizzazione di nuove vetture da competizione. Il campionato mondiale di Formula Uno doveva iniziare nel 1950, con vetture mosse da motori aspirati fino a 4500 cm3 o sovralimentati fino a 1500, ma già prima si sono svolti vari Gran Premi, senza alcun titolo in palio. Alle monoposto già note e destinate a diventare le principali protagoniste, ossia l’Alfa Romeo, la Ferrari, la Maserati e la Talbot, si sarebbe presto dovuta aggiungere una nuova realizzazione inglese destinata a fare epoca. Il suo sviluppo però è stato talmente travagliato che ha preso parte a una sola gara del mondiale.
In effetti si è trattato di uno dei fallimenti più clamorosi nella storia dell’automobilismo agonistico. Si trattava della BRM che, appena fondata, ha stupito il mondo con una vettura azionata da un motore che più complesso e macchinoso non avrebbe potuto essere, anche se le scelte di base non erano illogiche. Si trattava di un 16 cilindri di 1500 cm3 (alesaggio e corsa = 49,5 x 48,2 mm) con architettura a V di 135°. I supporti di banco erano 10 e la presa di moto era collocata centralmente. La sovralimentazione era affidata a un compressore centrifugo a due stadi realizzato dalla Rolls-Royce, alla quale ci si era rivolti visti gli eccellenti risultati che aveva ottenuto in campo aeronautico durante la guerra.
Questo è stato un grave errore perché il tipo di utilizzazione di un motore automobilistico è molto differente da quello di un motore d’aviazione. In questo secondo caso il funzionamento avviene senza che abbiano luogo forti e frequenti variazioni di carico e di regime, tipiche invece dell’impiego automobilistico (specialmente se in gara sui circuiti tortuosi come quelli europei). I compressori centrifughi sono OK ma solo in un campo di velocità ristretto; inoltre per fornire una elevata pressione di sovralimentazione devono girare molto forte. Sotto non c’è praticamente nulla e la potenza arriva tutta insieme. A parte la sua inguidabilità il V16 BRM ha accusato una straordinaria serie di guai meccanici che gli hanno impedito di fornire risultati apprezzabili.
Dopo il flop del BRM a sedici cilindri per diversi anni nessuno ha più pensato a un frazionamento analogo, in campo auto. Però nel 1964 la Coventry-Climax ha progettato un motore a sedici cilindri contrapposti di 1500 cm3 che è stato presentato l’anno successivo. In pratica era costituito da due unità a otto cilindri accoppiate centralmente. C’erano quattro teste e quattro blocchi di 4 cilindri ciascuna. I supporti di banco erano 10 e la presa di moto era centrale. La logica della scelta era sempre la stessa: un maggior numero di cilindri, ferma restando la cilindrata totale, consente di ottenere una potenza superiore. A parità di rapporto corsa/alesaggio infatti è possibile raggiungere un regime di rotazione più elevato. Inoltre, la superficie totale dei pistoni è maggiore. Questo motore non ha potuto essere sviluppato non solo perché ormai la Formula Uno di 1500 cm3 stava giungendo al termine ma soprattutto perché la Coventry-Climax era stata acquisita dalla Jaguar che di impegno nei GP non ne voleva sentire parlare.
Può sembrare incredibile, ma negli anni Sessanta la BRM ci è ricascata! Con l’entrata in vigore del nuovo regolamento che dal 1966 prevedeva per le Formula Uno aspirate una cilindrata massima di 3000 cm3 l’azienda ha puntato nuovamente su di un frazionamento estremo, realizzando un motore con 16 cilindri disposti ad H. In pratica, venivano impiegate due unità a otto cilindri contrapposti collocate una sopra l’altra a formare un singolo motore con due alberi a gomiti in presa tra loro. La distribuzione era bialbero ma con due sole valvole per cilindro, inclinate tra loro di 52°, e gli alberi a camme erano otto. L’alesaggio di 69,85 mm era abbinato a una corsa di 48,9 mm. I supporti di banco erano 10 (ossia 5 per ogni albero a gomiti) e la potenza era dell’ordine di 420 CV a 11000 giri/min. Questo motore, complesso e pesante, ha vinto un solo Gran Premio, montato non su una BRM ma su una Lotus.
La storia del motore Porsche a 16 cilindri è a dir poco singolare. Visti gli straordinari risultati che stava ottenendo la 917, Ferdinand Piech decise di provare ad aggiungere altri quattro cilindri ai 12 di tale vettura, mantenendo un identico schema costruttivo e, naturalmente, il raffreddamento ad aria. In tutta segretezza nel 1970 sono stati così realizzati alcuni motori a 16 cilindri con cilindrate che andavano da 6 a 7,2 litri. In quest’ultimo caso al banco si sono ottenuti 850 cavalli. Il problema era che questo motore era nettamente più grande e più pesante del 12 cilindri. È stata allestita una vettura, provata anche da Siffert, ma è risultata quasi inguidabile e di conseguenza si è preferito aumentare le prestazioni del motore della 917 adottando la sovralimentazione.
Durante una visita a Zuffenhausen un giornalista italiano ha visto un basamento del 16 cilindri e pare lo abbia riferito una volta tornato in patria. Per rafforzare la convinzione che la Porsche stesse preparando una straordinaria arma totale, la casa tedesca ha fornito alla stampa una foto nella quale si vedevano vicini il 12 e il 16 cilindri. L’immagine però era stata realizzata ad arte, in modo che il motore più frazionato risultasse avere dimensioni analoghe a quelle dell’altro. Secondo la stampa inglese ciò avrebbe influito sulla decisione della Ferrari di sospendere lo sviluppo della 512 (S ed M) per concentrarsi sulla Formula Uno.
La Cizeta V 16 T è stata una autentica dream car, anche nel senso che costituiva la realizzazione del sogno del suo ideatore Claudio Zampolli. Realizzata nel 1971, questa vettura dallo styling entusiasmante (opera di Marcello Gandini) era azionata da un V16 collocato trasversalmente, alle spalle del pilota. Aveva una cilindrata di 6 litri, ottenuta con un alesaggio di 86 mm e una corsa di 64,5 mm, ed erogava circa 550 cavalli a 8000 giri/min. Il motore era in pratica costituito dalla unione di due V8, abbinati in corrispondenza della presa di moto centrale. C’erano 10 supporti di banco e due circuiti di lubrificazione indipendenti. In totale questa vettura costosissima è stata costruita solo in una dozzina di esemplari. L’attività della Cizeta è terminata nel 1995.
L’unico motore a sedici cilindri tuttora in produzione è destinato alle straordinarie vetture Bugatti. Si tratta di un W 16 nato nel 1999 alla Volkswagen e quindi sviluppato in modo da incrementarne le prestazioni portandole a un livello impressionante, grazie anche all’impiego di quattro turbocompressori. Questo motore, che ha una cilindrata di 8 litri, ottenuta con misure caratteristiche quadre (86 x 86 mm), è in pratica costituito da due bancate di VR 8 disposte in modo da formare una V di 90° e montate sullo stesso basamento. Ciascuna di tali bancate può essere ritenuta quella di un Volkswagen VR6 con due cilindri in più. L’architettura quindi non è proprio a W perché in tal caso ci sarebbero tre bancate, costituite ognuna da una fila di cilindri.
Gli alberi a camme sono quattro (due per ogni bancata) e le valvole ben 64. L’albero a gomiti poggia su nove supporti di banco. Per raffreddare l’aria di alimentazione vengono impiegati due intercooler aria/acqua. Il motore montato sulla Veyron è arrivato a erogare 1001 cavalli a 6000 giri/min mentre quello della successiva Chiron ne produce 1500, che nella versione Super Sport 300+ salgono a ben 1600!