I motori a benzina producono più PM10 dei diesel con FAP: lo rivela uno studio

I motori a benzina producono più PM10 dei diesel con FAP: lo rivela uno studio
Pubblicità
I motori a benzina producono più PM10 dei diesel con filtro antiparticolato: lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports, del gruppo Nature
19 novembre 2018

Dopo la recente presa di posizione che impone ai motori a benzina dotati di iniezione diretta di rispettare gli stessi limiti per il particolato che vigono per i diesel, è diventato di fatto obbligatorio adottare un Fap anche per questi motori a benzina. Contemporaneamente, però, si portano a termine ricerche approfondite per individuare i fattori che, nei vari tipi di motore, portano alla formazione di PM10.

Lo studio più recente è stato pubblicato sulla rivista del gruppo Nature, Scientific reportse vi hanno contribuito numerosi ricercatori di tutto il mondo: canadesi, svizzeri, norvegesi, francesi, americani e cinesi. E anche e due italiani del Joint Research Center della Commissione Europea, che lavorano ad Ispra nel Direttorato per l’Energia, il Clima e i Trasporti.

Questo studio entra nel merito della formazione del particolato chiarendo che gran parte di questo non esce immediatamente dai motori ma si forma in un secondo tempo a causa di aerosol organici presenti nell’atmosfera, che agiscono come precursori. Si distingue quindi fra particolato primario (presente allo scarico) e particolato secondario, che si forma in un secondo momento e che costituisce la frazione di gran lunga più importante di ciò che misurano le centraline.

Pertanto, il particolato è provocato non solo dalle emissioni, ma anche dai composti organici secondari che si generano nell’atmosfera per via di reazioni successive a partire da gas emessi direttamente. Capire quanto un veicolo sia effettivamente inquinante richiede non solo una conoscenza delle emissioni primarie (in particolare dei composti organici primari), ma anche del modo con cui queste emissioni si modificano nel corso del tempo nell’atmosfera.

Lo studio pubblicato su Nature esamina il particolato emesso dai propulsori diesel e da quelli a benzina a diverse temperature (+22° C e -7° C) attraverso lunghi esperimenti condotti in laboratorio. Il risultato più interessante e immediato della ricerca conduce a conclusioni che ribaltano molte affermazioni: ovvero dimostrano che la formazione di particolato e i relativi composti secondari sono più elevati in presenza dei motori a benzina che nei diesel dotati di filtro antiparticolato – quindi da Euro 4 in poi -, e ciò avviene in particolare alle basse temperature ( -7° C).

Il fatto che i “benzina” tendano a generare più composti organici secondari e la constatazione dello studio che evidenzia la diminuzione delle emissioni primarie da parte delle generazioni di diesel col filtro , rivela un problema nel futuro: ovvero che le emissioni dei motori benzina andranno a costituire la maggior parte del particolato generato dai veicoli, anche se per il momento a farla da padrona saranno ancora i diesel senza filtro antiparticolato (fino a Euro 3).

La ricerca mette anche in luce che il confronto sulla pericolosità delle emissioni dei vari motori dipende soprattutto dall’inquinante in questione. Ciò significa che le vetture diesel non sono necessariamente più inquinanti rispetto a quelle a benzina.

Lo studio comincia col precisare che i valori medi di emissioni dei veicoli diesel sono falsati dalle vetture più vecchie e non riflettono dunque l’impatto ambientale di dispositivi come il filtro antiparticolato.

Gli studi sulla formazione dei composti organici secondari nei motori a benzina dimostrano che alle basse temperature (-7° C) aumentano considerevolmente le emissioni totali di idrocarburi incombusti (THC) e dei composti organici secondari che favoriscono la loro condensazione nell’atmosfera. In particolare, stando ai risultati dello studio, le vetture a benzina emettevano dieci volte più aerosol a +22° C e 62 volte di più a -7° C rispetto anche ai diesel di vecchia generazione. Le temperature rigide infatti portano ad un aumento vertiginoso delle emissioni primarie e secondarie nelle vetture benzina, mentre nei diesel questo non avviene.

Un’altra affermazione della ricerca rivela che la frazione dominante di aerosol carboniosi (quelli che danno luogo a smog fotochimico e a particolato) è dovuta negli Stati Uniti alle vetture a benzina, mentre in Europa a quei veicoli diesel – non solo autovetture – sprovvisti di filtro antiparticolato. In definitiva il DPF o FAP, che sono due modi diversi di chiamare lo stesso dispositivo, si rivela lo spartiacque per valutare con rigore le responsabilità nella formazione del particolato.

Naviga su Automoto.it senza pubblicità
1 euro al mese
Pubblicità
Caricamento commenti...