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Il mondiale rally è uno dei campi di gara più affascinanti nell’universo del motorsport non solo perché si corre su strade di norma aperte al pubblico, oltre che su terra e neve in location mozzafiato, ma anche in virtù del fatto che presenta un parco auto molto particolare. Le world rally car infatti non sono prototipi usciti da chissà quale esperimento, ma vetture di serie (spesso quelle che le mamme usano per fare la spesa) convertite in mostri da 300 e passa cavalli capaci di affrontare qualunque condizione gli si ponga di fronte. La loro forza sta proprio nell’essere efficaci al 99% su ogni tipo di fondo, soprattutto se si tratta di scaricare a terra la potenza del propulsore. Al recente Monza Rally Show Hyunday Motorsport ci ha aperto le porte del suo portacolori italiano HMI, che portava in gara la i20 New Neneration WRC di Cairoli e del duo Mikkelsen-Neuville, con cui abbiamo passato qualche minuto per provare e spiegarvi un po’ meglio queste vetture e come sono fatte.
Fighissima. Passateci il termine non proprio professionale ma è impossibile non pensarlo quando si è faccia a faccia con quel muso raso terra e i parafanghi allargati che assomigliano a bicipiti tesi per far capire il potenziale che c’è sotto la pelle. Non è niente in confronto alle auto partorite dal regolamento 2017 e chi le ha viste sa di cosa stiamo parlando, (aggiungetelo alla lista delle cose da fare nel caso vi manchi) ma restano pur sempre spettacolari. L’allargamento è una necessità dovuta all’ampliamento delle carreggiate di quasi 10 Cm, oltre a rivestire un marginale ruolo aerodinamico grazie alle superfici che stabilizzano i flussi nella parte laterale. Sotto il cofano troviamo un’unità 1.6L derivata dal propulsore di serie ma opportunamente rivista per erogare 300 CV e 400 Nm di coppia, che su 1200 kg garantiscono uno 0-100 in 3,7 secondi. La trazione passa da tutte e quattro le ruote da 18” quando si corre su asfalto e 13” quando si va su terra o neve, attraverso un sistema con due differenziali sui rispettivi assi. Lo schema di sospensioni e freni è speculare: McPherson con ammortizzatori a molla elicoidale da 60 cm su asfalto e 80 su sterrato, mentre a mordere i dischi da 355 mm ci pensano le pinze monoblocco a quattro pistoncini. La cura per l’aerodinamica culmina con l’imponente alettone che sovrasta la zona di coda, con una soluzione a doppio piano che schiaccia a terra il posteriore dell’auto.
Cura maniacale, fibra di carbonio e un roll bar capace di sopportare sollecitazioni altissime. Un altro dei segreti di queste vetture è la struttura in acciaio che non solo offre protezione in caso di urto, ma accresce la rigidità strutturale consentendo ad esempio di affrontare salti che arrivano a 50m di lunghezza e oltre 3 di altezza, con atterraggi tutto sommato ‘morbidi’ che non hanno ripercussioni sulle componenti tecniche. In tema di sicurezza ci sono i sedili a guscio con un sistema di cinture a sei punti; sedili molto arretrati per distribuire al meglio il peso e abbassare il baricentro. All’interno troviamo poi la dashboard che il navigatore usa per tenere sotto controllo tutti i parametri della vettura e dare una mano al pilota. Questi invece ha la possibilità di agire sulle funzioni integrate nel volante, tra cui sistema di anti-lag, il launch control e la velocità di cambiata a seconda dell’aderenza offerta dal fondo. Comando del gas, freno e frizione sono incernierati in basso e le dimensioni del pedale del freno sono più generose perché solitamente i piloti usano il sinistro per rallentare e stabilizzare l’auto, per questo hanno bisogno di trovare il pedale in modo molto intuitivo.
Vi bastano 300.000 euro per portarvi a casa una macchina ufficiale della generazione 2016, mentre dovrete aggiungerne un altro po' per una vettura 2017. Da appassionati continuiamo ad attendere una versione stradale con almeno il kit estetico di queste stupende auto e nel frattempo non perdiamo mai occasione per andarle a vedere in azione.
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