Honda e la Formula 1 – Prima parte

Honda e la Formula 1 – Prima parte
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A cinquanta anni dal primo successo della Honda in Formula Uno, ecco come erano fatti i suoi straordinari motori
10 luglio 2015

Mezzo secolo fa la Honda vinceva in Messico il suo primo Gran Premio, con la RA 272 a dodici cilindri pilotata da Richie Ginther. Era soltanto la seconda stagione nella quale la casa giapponese prendeva parte al massimo campionato mondiale. La monoposto progettata dai suoi tecnici e interamente realizzata in casa si distingueva da tutte le altre principalmente per la disposizione trasversale del compatto motore V12. La soluzione non era inedita, in F1. Ci aveva già pensato la Bugatti (disegnata da Gioacchino Colombo nel 1955) che però aveva un motore a otto cilindri in linea di notevole ingombro. E, contemporaneamente alla casa giapponese, la Maserati, con un progetto dell’ing. Giulio Alfieri notevolmente simile a quello della Honda. I grandi tecnici spesso giungono alle medesime conclusioni più o meno nello stesso tempo e all’insaputa uno dell’altro!

 

Nei primi anni Sessanta per le vetture di Formula Uno era prevista una cilindrata massima di 1500 cm3. La Honda aveva iniziato a ottenere risultati strabilianti nel motociclismo agonistico e stava entrando nel settore delle auto. Era logico quindi che per il motore della sua monoposto da GP adottasse varie soluzioni tecniche direttamente prelevate dalle sue velocissime moto da competizione plurifrazionate.

6  RA 302 1968
Nel 1968 la Honda ha realizzato anche una monoposto dotata di motore a otto cilindri raffreddato ad aria. Studiata all’insegna della massima leggerezza, disponeva di circa 430 cavalli, erogati a un regime di 9000 giri/min


Il responsabile della progettazione del motore, Tadashi Kume, che lavorava sotto la supervisione di Yoshio Nakamura, ha optato per un elevato frazionamento della cilindrata, disegnando un 12 cilindri a V di 60°. La disposizione del motore e la trasmissione con presa di moto centrale e cambio trasversale erano tipicamente motociclistiche, come pure l’albero a gomiti di tipo composito che lavorava interamente su cuscinetti a rotolamento. Nel 1964, anno dell’esordio, il motore era contraddistinto dalla sigla RA 271 E; nella stagione successiva si è evoluto nello RA 272 E, che ha raggiunto una potenza prossima ai 230 cavalli a un regime dell’ordine di 11.500 -12.000 giri/min, valore record per le F1 di 1500 cm3. Le misure di alesaggio e corsa erano 58,1 mm x 47 mm. Venivano impiegate quattro valvole per cilindro, disposte su due piani inclinati tra loro di 65°; quelle di aspirazione erano da 24 mm e quelle di scarico da 22mm. Gli alberi a camme (due per ogni testa) venivano comandati mediante ingranaggi, disposti centralmente. I cilindri erano dotati di canne umide con bordino di appoggio superiore. Una particolarità di questo motore era costituita dall’impiego di calotte in bronzo, incorporate di fusione nelle teste in lega di alluminio, nelle quali venivano ricavate le pareti delle camere di combustione e le sedi delle valvole; pure questa soluzione tradiva la forte influenza della tecnologia impiegata dalla stessa casa in campo motociclistico.

Nel 1967 la versione ulteriormente evoluta di questo motore, per la quale si parlava di 420 CV, è stata installata in una vettura sviluppata in Inghilterra con la consulenza della Lola

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Il 1966 ha visto l’entrata in vigore di un nuovo regolamento, che prevedeva per le Formula Uno motori aspirati fino a 3000cm3 (e sovralimentati fino a 1500 cm3, ma allora non ci pensava ancora nessuno. I turbo sarebbero comparsi solo diversi anni dopo). Per la nuova stagione di corse la Honda ha così realizzato una nuova vettura azionata da un motore di tre litri che, come quelli di tutti gli altri costruttori, era disposto longitudinalmente. Si trattava di un nuovo V 12, denominato RA 273 E e progettato da Shoichiro Irimajiri, nel quale l’angolo tra le due bancate non era di 60° (soluzione classica per i motori con questo frazionamento) ma di 90°. Questa architettura agevolava la disposizione centrale degli scarichi, preferita a quella usuale (che prevede sei tubi uscenti dal motore a destra e sei a sinistra). Nelle teste spiccava la disposizione “downdraft” dei condotti di aspirazione, che invece di essere disposti lateralmente passavano nella zona tra i due alberi a camme. Le valvole erano naturalmente quattro per ogni cilindro, disposte su due piani che formavano un angolo di 75°. Quelle di aspirazione erano da 29,5 mm e quelle di scarico da 26 mm. Il comando della distribuzione era affidato a due cascate di ingranaggi collocate centralmente.

Il motore RA 273 E era caratterizzato dalla disposizione centrale degli scarichi, con i tubi che formavano un complesso “groviglio”


Per quanto riguarda i cilindri, venivano impiegati quattro gruppi di tre canne ciascuno, dotati di bordo di appoggio superiore, che venivano direttamente lambiti dal liquido di raffreddamento. Per il manovellismo si continuava a impiegare lo schema motociclistico, con albero composito (poggiante su otto supporti di banco) che lavorava interamente su cuscinetti a rotolamento. La presa di moto era centrale e per il collegamento al gruppo frizione-cambio si impiegava un albero ausiliario. Il motore aveva un alesaggio di 78 mm e una corsa di 52,2 mm ed erogava una potenza che è stata ben presto portata a circa 400 cavalli a 11000 giri/min. Nel 1967 la versione ulteriormente evoluta di questo motore, per la quale si parlava di 420 CV, è stata installata in una vettura sviluppata in Inghilterra con la consulenza della Lola, la RA 300; questa monoposto ha vinto a Monza nella gara d’esordio, pilotata dal grande John Surtees.

L’anno successivo il V12 è stato profondamente riveduto da Tadashi Kume e Nobuhiko Kawamoto. In particolare, è stato dotato di nuove teste con angolo tra le vavole portato a 58° e condotti disposti in maniera convenzionale: scarichi laterali esterni e condotti di aspirazione rivolti verso il centro della V formata dalle due bancate di cilindri. Una particolarità di grande interesse era costituita dal sistema di richiamo delle valvole che impiegava barre di torsione al posto delle usuali molle a elica cilindrica. Le camme agivano su bilancieri a dito e non più sulle classiche punterie a bicchiere. Il diametro delle valvole è passato a 33,6 mm alla aspirazione e a 29,3 mm allo scarico. La potenza di questo motore, contraddistinto dalla sigla RA 301, è arrivata a circa 440 CV a 11.500 giri/min. 


Nel 1968 la Honda ha schierato anche un’altra monoposto di F1, la RA 302, realizzata all’insegna della massima leggerezza e azionata da un motore raffreddato ad aria, con 8 cilindri a V di 120° (invece che di 90°, come canonico nei motori con questo frazionamento). Per contenere il peso, tanto per il motore che per la vettura si è fatto largo impiego di leghe di magnesio. Non vi era alcuna ventola di raffreddamento e per refrigerare convenientemente il motore si utilizzavano delle prese d’aria dinamiche, con relativi convogliatori, la cui disposizione e il cui disegno erano stati accuratamente studiati e sperimentati. Accreditato di circa 430 CV a 9000 giri/min, questo V8, che ha preso parte a una sola gara, aveva un alesaggio di 88 mm e una corsa di 61,4 mm. Al termine della stagione 1968 la Honda ha posto fine al suo impegno in Formula Uno. Per rivedere un suo motore su una monoposto da Gran Premio è stato necessario attendere ben quindici anni!    

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