Grati a Greta?

Grati a Greta?
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I movimenti dei giovani, innescati da Greta Thunberg, riusciranno in qualche modo ad aiutare a coniugare il rispetto per l’ambiente con lo sviluppo economico e tecnologico?
22 marzo 2019

Ora che il clamore mediatico sulla grande giornata di mobilitazione di ragazze e ragazzi di tutto il mondo in difesa del Pianeta Terra, che per un paio di giorni ha occupato le prime pagine di tutti i giornali prima di tornare al “livello zero“ nell’attenzione ad essa riservata dai media, è possibile tornare a riflettere con minor emotività e maggiore riflessione sulle questioni sollevate dai giovani scesi in piazza.

L’argomento è complesso e gli interrogativi che solleva non possono essere risolti assumendo posizioni preconcette e sottraendosi al confronto delle idee: anzi, occorre discutere, al limite anche litigare, pur di arrivare ad una soluzione che permetta di coniugare rispetto per l’ambiente, sviluppo della tecnologia, miglioramento delle condizioni di vita in tutto il mondo, e non solo per chi abita nell’emisfero più sviluppato.

Un approccio globale al tema lo abbiamo trovato nel lungo, appassionato, non privo di qualche ironia paternalistica ed a volte cinico, articolo che Alberto Brambilla ha pubblicato su “Il Foglio“, che prova una sintesi tra gli argomenti che dividono i ragazzi scesi in piazza dai loro genitori.

Questo, infatti, appare a prima vista proprio un conflitto generazionale, ad iniziare dalla figura di Greta Thunberg, il cui volto da bambina è diventato simbolo del movimento giovanile che combatte i cambiamenti climatici.

Ma è davvero così? Qualche dubbio Brambilla ce l’ha: la protesta di Greta non sarebbe frutto di uno slancio originalmente autentico, ma prosecuzione di iniziative “green“ promosse da Al Gore (già vice-presidente di Clinton).

Sarebbe cioè una figura creata abilmente a tavolino, un escamotage planetario per superare i confini culturali e politici ed unire sotto l’unica bandiera dell’ecologia le nuove generazioni.

La questione delle fonti energetiche è presa di petto da Brambilla: «Intanto c’è la vecchia bufala che il petrolio non serve più: invece la domanda petrolifera mondiale ha superato i 100 milioni di barili/giorno, un record storico. L’idroelettrico rimarrà invece stabile al 7% nei prossimi trent’anni, il nucleare rimarrà stagnante (dal 4 al 5%) per la volontà politica di depotenziarlo benché sia un perfetto sostituto della generazione di energia elettrica da carbone. Altra menzogna è che non ci sia sensibile sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili: secondo Bp, al 2040 passeranno dal 4 al 14% – un aumento del dieci% – del portafoglio energetico mondiale perché incentivate dagli stati benché incapaci di sostenere da sole le attività umane esistenti, in quanto vento e solare sono intermittenti e quindi inaffidabili. Se per ipotesi la produzione di energia dovesse essere rimpiazzata immediatamente da eolico e solare ci troveremmo senza corrente elettrica, e la catastrofe sarebbe davvero immediata». 

Ma il tema più delicato è quello relativo al tema della condivisione planetaria delle risorse: «La mistificazione - scrive il giornalista - più grave è probabilmente il richiamo al concetto di “uguaglianza”. Se dovessimo proporre ora il modello “tutto rinnovabili” ai paesi più poveri e assolati della terra probabilmente ci risponderebbero come il keniota James Shiwati dell’Inter Region Economic Network nel documentario  The Great Global Warming Swindle (“La grande truffa del cambiamento climatico”, 2007). «I paesi ricchi possono anche permettersi di avventurarsi in sperimentazioni di lusso con altre forme di energia, ma noi non siamo ancora a questi livelli di sopravvivenza». «Non capisco – continua il keniota – come un pannello solare potrebbe alimentare una fabbrica di acciaio o una linea ferroviaria. Potrebbe alimentare, al limite, una piccola radio a transistor». Ovvero sarebbe una condanna al sottosviluppo per i paesi in via di sviluppo. Applicata ai paesi occidentali sarebbe invece una regressione economica assicurata e auto-inflitta». 

Insomma, ci sono molte ragioni per concedersi una lettura ragionata dell’articolo di Alberto Brambilla: è un po’ lungo, ma merita senz’altro.

Un po’ per instillare qualche dubbio in chi ha granitiche certezza, un po’ anche per radicare meglio le proprie convinzioni.

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