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A pochi giorni dal via del prossimo E-Prix iridato, quello di Roma che porta per la prima volta in Italia la Formula E, ricordiamo una vittoria importante tutta tricolore, della Ferrari, in un Gran Premio romano. Non si parla del primissimo e lontano trionfo rosso, avvenuto nel 1947 proprio sulle strade della città eterna e di cui abbiamo già detto, sulle pagine di Automoto.it, ricordando la lunga storia delle gare automobilistiche a Roma, bensì di quella di mezzo secolo fa, esattamente nel mitico anno 1968. Stagione intrisa di eventi e significati per la società moderna quella del Sessantotto, ma che ha anche visto vincere per la prima volta la monoposto di F2 Dino 166, auto che portava già nel nome l’importanza per Ferrari, come anche per tutto il Motorsport, oltre che per il collezionismo e la storia, pensando ai giorni nostri.
A quel tempo, il campionato internazionale di F2 come si direbbe oggi tra i giovani era “tanta roba”, ma davvero tanta, anche se a primo sguardo quelle auto sembrino ora viste in foto solo delle piccole e nemmeno troppo potenti monoposto. Si schieravano alcuni dei migliori costruttori europei, con telai e motori propri (non certo un monomarca come ora, Dallara-Mecachrome, ndr) e soprattutto molti top-driver, pardon, assi del volante, provenienti anche dalla F1. Uno su tutti che saliva e scendeva da entrambe le Formule 50 anni fa? Il grande Jim Clark che, con la Lotus di Colin Chapman, perse la vita proprio durante quella stagione in una gara di F2, pur essendo un due volte iridato in F1. Come lo scozzese volante, correvano in F2 nel 1968 pur essendo da podio in F1 anche Jochen Rindt (Brabham) Jackie Stewart (Matra) Clay Regazzoni (Tecno) Graham Hill (Lotus) Chris Amon e Jacky Ickx (Ferrari) tanto per citare nomi di piloti molto noti a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Il campionato di cinquanta anni orsono giungeva tristemente orfano di Clark al suo ultimo appuntamento, in Italia, per correre sul tracciato di Vallelunga quello che si chiamava Gran Premio di Roma. Se la classifica generale non premiava i nostri colori bensì quelli francesi, con Jean-Pierre Beltoise pronto a chiudere senza rischiare troppo, vincendo il campionato sulla Matra Ford davanti a Henri Pescarolo, la competizione del momento era invece tutta dominata dalle Ferrari che, finalmente, dopo un avvio titubante e non certo privo di problemi nella messa a punto per quella macchina dedicata a Dino Ferrari (figlio di Enzo) aveva trovato la quadra. La soddisfazione del Drake era giunta un po’ tardi, dopo il primo atteso ma tardivo trionfo di Hockeneim, ottenuto dal monzese Tino Brambilla. Il bis prima di chiudere la stagione era però dietro l’angolo, sulla pista romana di Vallelunga, a circa 40 Km dal Colosseo e dalle istituzioni nazionali che, allora, ponevano la propria firma anche sui trofei delle gare automobilistiche.
Se oggi, come sempre, i tifosi Ferrari sognano di vedere le monoposto rosse dotate di Cavallino Rampante monopolizzare la prima fila di un Gran Premio e battersi per la vittoria della gara, ancor più quando disputata in Italia, a quel tempo la circostanza era realtà. Realtà gratificante da fuori, paragonando le gesta a bordo pista e sulle tribune di allora a quelle odierne, ma non sempre facile da vivere internamente, viste le diatribe possibili quando si hanno “due galli nel pollaio” come ci rivela, a cinquanta anni di distanza, Tino Brambilla. La premessa è che il Tino, come lo si chiama confidenzialmente dalle sue parti ancora oggi che ha ottantaquattro anni, aveva già vinto il Gran Premio di Roma del 1966 con la F3 e, soprattutto, aveva appena regalato a Enzo Ferrari la prima, sudata in pista quanto a Maranello, vittoria della 166 Dino all’ultimo Gran Premio corso in Germania. Quando si è competitivi e pronti a vincere non è la miglior cosa avere come compagno di squadra uno che “deve” fare altrettanto, connazionale oltretutto. Ebbene, il caso vuole che dopo alcuni mesi di assenza dalle gare per recuperare da un brutto incidente, occorsogli con la F1 a Brands Hatch, rientra in pista per l’occasione del GP romano un giovane di belle speranze con ambizioni da conferma a titolare Ferrari: Andrea de Adamich. Il box Ferrari a Vallelunga è quindi caldo sotto vari punti di vista, con anche Derek Bell ambiziosamente schierato dalla Scuderia e una vittoria che si assegna sommando tempi di due manches, da quaranta giri ciascuna. I due piloti italiani delle rosse però sono capaci di girare, da subito, entrambi più veloci di tutta la concorrenza facendo capire chi è il riferimento.
QUALIFICHE – GP ROMA 1968
GIOCHI DI SQUADRA – NO GRAZIE. Dopo avere ottenuto, grazie alla consistenza dei tre giri più veloci mediati aritmeticamente, la prima piazza su una griglia dove figuravano anche il campione del mondo F1 di quell’anno, Graham Hill e, nelle ultime file, un certo Max Mosley con il Team di Frank Willliams, Brambilla chiude davanti a tutti anche la prima delle due frazioni di gara. La monoposto Ferrari da Formula 2 numero 4, che di lavoro invero ne da sempre parecchio da fare ai meccanici, non è mai stata dietro alle rivali nel weekend e sta per scendere in pista ancora la domenica pomeriggio, per chiuderlo alla grande. Ecco però una di quelle “faccende” che spesso capitano nelle gare di automobili, quelle note agli addetti ma non sempre pubblicamente divulgate: davanti al Tino due persone con una certa influenza nei box Ferrari e non solo, cominciano un discorso che porta alla fine verso il concetto che “sarebbe stato meglio per l’automobilismo tricolore” vincesse quel giorno la rossa numero 2, quell’altra che in qualifica e in prima manche era rimasta sempre seconda. Ma come si capisce anche oggi dal titolo di un libro a lui dedicato (“Mi è sempre piaciuto vincere” di Walter Consonni) certe teorie quando non arrivano dal vero capo assoluto, come poteva certo succedere, difficilmente saranno applicate da Brambilla in gara, al GP di Roma. Senza troppo argomentare la situazione e tanto meno preoccuparsi delle conseguenze “Se non mi rinnoveranno il contratto Ferrari l’anno prossimo, non sarà perché non ho fatto vincere oggi De Adamich” la Dino 166 viene così condotta a pieno gas dal via fino al traguardo, senza che nessuno metta le ruote davanti alla numero 4. Dopo la pole arriva quindi anche il giro veloce di gara e la vittoria finale, davanti a Beltoise e al giovane compagno di squadra nella scuderia del Cavallino, che giunge terzo sotto la bandiera ma secondo per somma di tempi. Brambilla chiude così ottimamente, dal punto di vista agonistico e di guida, una stagione europea molto travagliata tecnicamente, con il GP romano di quell’anno che vede una doppietta Ferrari oggi non prevista nella Formula E, dove non presenziano nemmeno delle scuderie italiane.
GP ROMA 1968 – CLASSIFICA FINALE
Siamo ora dopo mezzo secolo, nel 2018, al ritorno nella capitale italiana per una competizione internazionale di monoposto, addirittura in percorso stradale urbano, con la Formula E che calamita interessi di quasi tutte le Case automobilistiche con velleità sportive, non italiane e non della Ferrari, sulla città eterna. Il clima, i rumori, gli odori e anche il significato stesso della gara sono però un po’ diversi, da quelli della doppietta rossa. Cosa ne pensa il vincitore del Gran Premio di Roma 1968 di quello di cinquanta anni dopo, della Formula E che corre con motori elettrici in strada, vicino alla gente di Roma ma senza nemmeno un telaio, un motore o una squadra tricolore.
“Il circuito stradale romano lo scopriremo in questa gara, ma molti di quelli che ho visto sinora per la Formula E sono realizzati in modo spesso banale – ci dice Tino Brambilla, classe 1934 - È un campionato ancora giovane e anche se non è certo pari a quelli di allora per molti aspetti, anche tecnici visto che le macchine hanno tutte lo stesso telaio, occorre dare il tempo di crescere. Le stagioni sono poche per giudicare in modo netto. Mi spiace che non ci siano colori italiani schierati, perché oggi purtroppo mancano i soldi da noi, tranne che alla Ferrari”.
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