Governo Draghi, ecco come dovrebbe sostenere il settore automotive

Governo Draghi, ecco come dovrebbe sostenere il settore automotive
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Il governo del premier Mario Draghi, per sostenere il comparto automotive in Italia, doverà elaborare piani che preservino il lavoro e il capitale umano e non solo le emissioni della CO2
18 febbraio 2021

Con il Governo Draghi al debutto, milioni di automobilisti e milioni di italiani i cui bilanci familiari dipendono dall'industria automotive e da tutti gli ambiti produttivi e commerciali collegati, si chiedono (a ragione) quale sarà l'atteggiamento del nuovo premier e della sua squadra nei confronti di un comparto che vale il 5,6% del Pil e che, per quanto attiene alla mobilità, impatta pesantemente anche sulla libertà e sugli stili di vita degli italiani. 

Un segnale potrebbe arrivare dalla 'mobilità' scelta da Draghi che viaggia a bordo di una Volkswagen Passat Alltrack con trazione integrale 4Motion dotata di motore 2.0 TDI SCR 200 Cv. Una modernissima unità a gasolio di ultima generazione che abbatte praticamente tutti gli NOx e limita il consumo a velocità autostradale a 5,2 litri ogni 100 km. E che non lascia dubbi sull'impronta complessiva del carbonio, come invece accade - e viene sempre più messo in discussione - con le auto elettriche.

Scelte personali a parte, Draghi sembra essere culturalmente più vicino al mondo della finanza e dell'industria piuttosto che a quello dei 'verdi' e quindi potrebbe imporre (correttamente) scelte che vadano nella direzione indicata - non senza aver sentito il parere di Angela Merkel - dal Ceo del Gruppo Bosch, Volkmar Denner sulla necessità di bilanciare iniziative ecologiche e attenzione al sociale e all'economia. In un recente intervento, in difesa dei motori diesel e benzina che "non hanno praticamente più impatto sulla qualità dell'aria urbana". Denner ha detto "Solo perché qualcosa è socialmente ed economicamente giusto, non deve per forza essere ecologicamente sbagliato" ed ha esortato "Dobbiamo mantenere un equilibrio tra le considerazioni economiche, ecologiche e sociali".

Una chiara indicazione di quelle linee guida che moltissimi italiani si attendono anche da Draghi e dal suo team, primo fra tutti da Enrico Giovannini, portavoce dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) diventato neo Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. In una audizione al Parlamento Giovannini - appunto in rappresentanza dell'ASviS - aveva ribadito come il settore privato sia impegnando da tempo per lo sviluppo sostenibile, e in particolare da parte del settore finanziario. "Ottima notizia da un certo punto di vista - aveva detto - pessima notizia dall'altro: se anche la finanza si preoccupa della sostenibilità dei propri investimenti, il rischio che il mondo sia non solo non sostenibile, ma che possa fronteggiare momenti molto difficili nel breve termine, è ancora più alto". 

Esaminando la situazione in Europa e in Italia, con il tipico atteggiamento di uno statistico di fama, Giovannini aveva sottolineato in quella audizione il fatto che "benché l'Europa sia il luogo più sostenibile in tutto il mondo, il più avanzato da tutti i punti di vista rispetto alle altre aree geopolitiche, i trend attuali non sono minimamente in linea con gli obiettivi assunti". Ed aveva proseguito ricordando che "in Europa contiamo mezzo milione di morti premature ogni anno legate anche all'inquinamento, di cui 60 mila in Italia. Per loro, lo sviluppo sostenibile è già finito, e questo avviene ogni anno. Naturalmente, il tema non è soltanto quello delle automobili. È evidente che per mezzo milione di persone europee all'anno non siamo su un sentiero di sviluppo sostenibile". 

Trattando allora dell'Italia, Giovannini ('rubando la scena, con anticipo di anni, al nuovo Ministro per lo Sviluppo Sostenibile, Giancarlo Giorgetti) aveva affermato che il Paese "non era proprio sul sentiero di sviluppo sostenibile". Ed aveva evidenziato un punto che potrebbe essere decisivo per le prossime decisioni del Governo Draghi: "l'Italia ha una strategia nazionale per le aree interne - aveva detto davanti al Parlamento - ma è incredibile che non ci sia una strategia nazionale per le città, come se i singoli sindaci potessero affrontare efficacemente le enormi trasformazioni che avverranno. Questo è possibile attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che potrebbe ricostituire il Comitato interministeriale per le politiche urbane".

Ed aveva sintetizzato, mostrando una serie di slides, le "proposte politiche, che appunto indirizziamo ai vari gruppi parlamentari, per realizzare il cambiamento necessario, lungo sette assi: energia e cambiamento climatico, disuguaglianze, economia circolare, innovazione, lavoro, capitale umano, salute, educazione e qualità dell'ambiente". Ora la parola passa a Enrico Giovannini che - è auspicabile - dovrà ricordarsi delle valutazioni fatte allora per attualizzarle in piani che preservino il lavoro e il capitale umano e non solo le emissioni della CO2 che, va ricordato, non è un inquinante ma un gas effetto serra. 

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