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Chi ha diffuso prima il Coronavirus? La Cina con Wuhan e il suo brutto mercato di alimenti animali, anche vivi, in ogni razza e stato di conservazione? Il laboratorio segreto cinese, come ridicono anche oggi gli americani? Oppure qualcuno che resterà nei secoli tanto dannato quanto sconosciuto, come fa più comodo a molti?
L’ultimo filone di “indagine del secolo” che hanno aperto quelli che producono e vendono vagonate di auto elettriche, fa quasi sorridere. Eppure ne danno ecu, pardon eco, negli USA dove con la Cina il vecchio Trump aveva aperto un confronto economico e commerciale. Dopo aver detto che la Covid è arrivata al mercato cinese e Wuhan da fuori, importata negli alimenti animali surgelati (come i salmoni europei) adesso altro potenziale accusato: i ricambi auto. Ebbene sì, tutti sanno che a dalle parti di Wuhan si producono parecchie auto, persino di motorizzazione e formato gradito agli europei. Di marchi europei. Quello meno facile da ricordare è che, in minima parte, alcuni scatoloni di materiale per certi assemblaggi arrivano dal resto del mondo. Nella teoricamente giusta e trasparente lotta al Coronavirus, i cinesi oggi non si accontentano. Di avere buoni numeri sul contagio e lo stato delle cure. Di vendere al mondo medicinali e dispositivi sanitari “a nastro” che tutti conosciamo e, volenti o nolenti, paghiamo.
Ora vogliono scoprire se non sia stato qualcuno a portarcelo il virus, in Cina lo scorso inverno. Non ci stanno a sentirsi accusare di qualcosa per cui dovrebbero "pagare" pur se sarà impossibile, o quasi, venirne a capo. Da studi cinesi riportati su molti media in questi primi giorni di 2021 si ipotizza che già l’estate 2019 avesse contato alcuni casi di Covid19 altrove. Magari poi, attraverso il flusso dei molti ricambi auto provenienti dall’Europa e dal resto del mondo, qualcosa e qualcuno avrebbe potuto innescare la grande epidemia cinese, poi divenuta globale. La tesi corretta forse non la sapremo mai, salvo ammettere che nel giro di pochi mesi nel 2019 dei casi sono accertabili ovunque, non solo in Cina.
Toccare il mondo dell’auto estero però fa un po’ male. Sapendo che al tempo nessuno poteva razionalmente pensare di dover controllare persino gli scatoloni, che si spediscono con i ricambi auto. Quelli che oggi in Cina verificano e nel caso sanificano (nonostante la WHO dica sia poco probabile che si diffonda il Coronavus in quel modo) a capodanno sono potuti scendere in piazza, ascoltando discorsi di bilanci annuali buoni. Il mondo dell’auto europeo invece piange i cali di vendite, che loro non hanno avuto a fine 2020. La filiera storica del Vecchio Continente è quasi in ginocchio, di fronte al mutamento di mobilità imposto dalla pandemia e di tecnologia, voluto anche politicamente. Persino ricambi, Aftermarket e servizi assistenza sono ora, senza essersene accorti inizialmente, in crisi da noi.
Mentre da loro il calderone dell’auto che non aveva la nostra storia, gira evolvendo con il vento in poppa, per non dire con la batterie cariche. Mentre il governo cinese mette obiettivi di mercato automotive che “si rispettano” imponendoli anche a chi ci investe. E ora, per buon eccesso di sicurezza con pure eco mediatico di salvataggio immagine cinese (il virus non è venuto da Wuhan, ma a Wuhan) vengono a dire che bisogna stare attenti ai ricambi auto che arrivano dall’Europa. Guardiamoci intorno, quanto di ciò che maneggiamo è made in PRC? Chi dovrebbe garantire cosa in virtù dello stato di attività, dei volumi e dei flussi che si dipartono verso l’estero?