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Nel 2018, FCA ha venduto 4,8 milioni di veicoli, PSA 3,9. Da una loro eventuale fusione potrebbe scaturire una società combinata da oltre 8,5 milioni di unità, protagonista assoluta del settore anche sotto un profilo prettamente numerico, con il suo giro d'affari quantificabile tra i 46 e i 50 miliardi di dollari.
Nel capitale del gruppo francese esiste un'opportunità, che risponde al nome del produttore cinese Dongfeng e che - sebbene abbia registrato perdite superiori alle aspettative nell'ultimo semestre - rappresenta comunque un'ottima testa di ponte su cui investire per ampliare il business del Paese.
Due aspetti fondamentali per resistere, attraverso le economie di scala e la riduzione dei costi di produzione e operativi, alle contrazioni del mercato e in tutte quelle circostanze in cui la crescita procede più lentamente della domanda, soprattutto nei mercati automobilistici “globali”.
Se, da un lato, il gruppo PSA, soprattutto con il suo marchio di punta Peugeot, è storicamente forte nel diesel (tra le altre cose, ricordiamo che si deve a lei il primo motore turbodiesel, nel 1978, nonché il tentativo, peraltro ben riuscito, di associare il combustibile all'ibrido, ndr) la politica avviata da Marchionne nei confronti di questa tipologia di motore è stata invece, perlopiù, penalizzante.
Fiat è in netto ritardo in tutto ciò che riguarda le auto a spina, sull'altro fronte, invece, PSA porterebbe in dote la sua ottima piattaforma modulare denominata e-CMP oltre a un know how che ha le basi fin dagli inizi di questo decennio.
Della Cina abbiamo detto poco sopra, degli Stati Uniti diremo più avanti, mentre sul resto del mondo, i vantaggi di un'integrazione riguarderebbero un miglioramento dell'offerta un po' su tutti i mercati mondiali. A partire dall'Europa, ovviamente, dove la presenza capillare di PSA è uno dei grandi plus, ma anche in Africa dove soprattutto Peugeot è un marchio molto forte da sempre grazie al passato coloniale francese (Fca ha una invece presenza rilevante in Algeria e poco altro) e anche in Medio Oriente.
Un altro pallino di sempre del gruppo francese è la sua assenza pressoché totale nel contesto delle auto di prestigio (sia lusso che supercar). In questo caso, il limite potrebbe essere efficacemente oltrepassato grazie all'importazione nel suo portfolio di marchi come Alfa Romeo e ancora più di Maserati (e di riflesso anche Ferrari, controllata dalla cassaforte di famiglia).
Entrambi, se adeguatamente supportati sul piano finanziario e del marketing potrebbero competere sugli stessi livelli con le rivali, soprattutto le tedesche.
PSA può portare un fattore essenziale, l'affidabilità, che è tra i suoi grandi punti di forza, mentre in FCA è risultata debole negli ultimi anni.
Si tratta, in realtà, di un falso problema. O meglio di un problema del passato che si rifà alla logica monobrand, ormai superata. Basta, infatti, un'analisi anche superficiale del mercato per accorgersi che le sovrapposizioni sono presenti in quantità in tutte le fasce del mercato, anche - e soprattutto - in quei gruppi multimarchio e con numerosi modelli che si sovrappongono ma che nonostante ciò registrano alte vendite.
Il superamento di tale rischio è “garantito” dalle strategie di posizionamento e di marketing che, abbinati con le piattaforme modulari, che permettono la realizzazione di modelli diversi per taglia, brand e tipologia sfruttando al massimo la possibilità di abbattere i costi di sviluppo e il peso degli investimenti necessari all'evoluzione tecnologica che se segue - o anticipa - i nuovi modelli di mobilità.
Nel portfolio di Psa, sono presenti alcuni gioielli in tal senso in grado di rivaleggiare ad armi pari con la piattaforma modulare considerata il riferimento del settore, quella di Volkswagen. FCA, invece, su questo fronte è debole.
Uno dei grandi “pallini” di sempre del Ceo Psa Carlos Tavares è portare Peugeot negli Usa dove il gruppo ha una presenza pressoché inesistente, mentre Fca è ormai una superpotenza con Jeep, Ram, Chrysler e Dodge.