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Un minorenne scappa in auto dalla Polizia che, inseguendolo, mette in pericolo sia la sicurezza degli occupanti della volante che dei passanti e degli altri automobilisti. Al termine dell’inseguimento - si conclude con l’auto del giovane che si schianta contro un’altra auto ferma in strada - il ragazzo viene fermato e denunciato per il reato di violenza a pubblico ufficiale, che prevede la pena della reclusione in carcere fino a cinque anni.
Il Tribunale lo condanna e la Corte di Appello a cui il ragazzo si era rivolto chiedendo l’annullamento della condanna, ha confermato la sentenza.
Contro tale sentenza il minore ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, sostenendo l’erronea applicazione dell'art. 337 c.p.: lamenta, in particolare, che la mera fuga - unica condotta di resistenza nel caso di specie accertata - non possa integrare la materialità del reato de quo.
Cosa sentenziato dalla Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione (sentenza 2 gennaio 2014, n.40), richiamando il proprio orientamento ormai consolidato (nel reato di resistenza a pubblico ufficiale, integra l'elemento costitutivo della violenza l'opporsi, in maniera concreta ed efficace, all'atto che il pubblico ufficiale stia legittimamente compiendo) ha, in particolare, precisato che integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale la condotta di colui che, per sottrarsi alle forze dell'ordine, non si limiti alla fuga in macchina, ma ponga in essere una serie di manovre finalizzate ad impedire l'inseguimento, così ostacolando concretamente l'esercizio della funzione pubblica ed inducendo nell'inseguitore una percezione di pericolo per la propria incolumità.
Invero, nel reato di resistenza a pubblico ufficiale la violenza consiste in un comportamento idoneo ad opporsi, in maniera concreta ed efficace, all'atto che il pubblico ufficiale stia legittimamente compiendo.
Ciò premesso, la fuga in quanto tale, ovvero astrattamente considerata, non può dirsi che trascenda i limiti del mero ed inerte comportamento passivo non collaborativo, e, pertanto, di per sé non integra il delitto di resistenza.
Diversamente, lo integra in tutti i casi in cui essa si estrinsechi in (o si accompagni ad) atti che non soltanto denotino in modo concreto il proposito d'interdire od ostacolare al pubblico ufficiale il compimento del proprio ufficio o servizio, ma mettano anche, e deliberatamente, in pericolo la vita e l'incolumità personale degli stessi operanti e/o dei passanti.
Principio di Diritto
La Corte di Cassazione, esercitando la propria funzione nomofilattica, con la sentenza in rassegna afferma il seguente Principio di Diritto: “In tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra, l'elemento materiale della violenza la condotta del soggetto che si dia alla fuga, alla guida di un'autovettura, non limitandosi a cercare di sottrarsi all'inseguimento, ma ponendo deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida obiettivamente pericolosa, l'incolumità personale degli agenti inseguitori e/o degli altri utenti della strada”.
I giudici del palazzaccio aggiungono che la Corte di appello si è correttamente attenuta a questo principio, valorizzando, ad integrazione della materialità del reato contestato all'imputato, con rilievi esaurienti, logici, non contraddittori, e per tale ragione incensurabili in questa sede, non il mero essersi dato alla fuga, ma la pericolosa condotta di guida dell'imputato (culminata in un impatto con altra autovettura parcheggiata in strada), che mise a repentaglio la vita e l'incolumità personale degli agenti operati e dei passanti.
Alessandro Casale, Comandante Polizia Locale comune capoluogo di provincia - Presidente di Unico, Unione dei Comandanti della Polizia Locale