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L’automobile è indissolubilmente legata ai fatti storici più recenti, positivi ma anche negativi. Come i grandi del passato, i Cesari ad esempio, celebravano i loro trionfi sui cocchi, così quelli moderni usano spesso la vettura a tetto scoperto perché la folla possa distinguerli mentre la lambiscono.
Rappresentanze storiche
Esporsi in modo tanto evidente, se da un lato soddisfa chi desidera vedere, anche solo di sfuggita, un personaggio tanto importante, dall’altro genera una serie di spaventose preoccupazioni nelle cosiddette “guardie del corpo” delegate a prevenire e ad evitare conseguenze irrimediabili in caso di attentati.
Due personaggi usi a servirsi dell’automobile mettendosi in bella evidenza furono senz’altro Mussolini e Hitler. Il primo la scampò nel 1926 (bomba lanciata da Gino Lucetti) ed il secondo non fu oggetto di tentativi di eliminazione quando era a bordo della sua auto (talora a sei ruote, talaltra coi cingoli) preceduta, seguita e circondata dai numerosi addetti alla sicurezza.
Casi sfortunati
Ma come non ricordare, con sgomento, le istantanee che ritraggono le grandi o famose vittime che si accasciarono sui sedili, colpiti a morte o gravemente ferite? Il Presidente John F. Kennedy a Dallas, 50 anni fa, prima abbattuto tra le braccia della moglie e poi trasportato in quella disperata ed inutile corsa verso l’ospedale. Papa Giovanni Paolo II, nel 1981, con l’abito candido macchiato di sangue, ferito e scampato alla morte per intercessione della Madonna di Fatima, come poi ebbe a rivelare lui stesso.
Evidentemente non è sufficiente avere un’automobile “blindata” se poi i protagonisti si sporgono diventando un possibile bersaglio di tiratori professionisti o improvvisati. La blindatura però fu una necessità anche per personaggi non propriamente in vista, anzi che se ne stavano ben rinchiusi all’interno del corpo vettura, quelli che le loro faccende le sbrigavano di nascosto, come i gangster.
“Evidentemente non è sufficiente avere un’automobile “blindata” se poi i protagonisti si sporgono diventando un possibile bersaglio di tiratori professionisti o improvvisati. La blindatura però fu una necessità anche per personaggi non propriamente in vista”
Il caso di Al Capone
Recentemente è stata messa all’asta la Cadillac del 1928 di Al Capone battuta da 300.000 dollari in su, costruita prima ancora che se ne approntassero per i Presidenti degli Stati Uniti. La blindatura consisteva e consiste principalmente nella revisione e nell’ispessimento di tutte le superfici esterne: lamiere e vetri. Conseguentemente queste automobili hanno una massa eccezionale, che non di rado sfiora le 3 tonnellate. Ma perché non risultino dei giganti coi piedi d’argilla analoga attenzione va riservata ai pneumatici, i cosiddetti “anti-foratura”.
Queste gomme, che potrebbero dover marciare da forate a velocità sostenuta e sotto un grande carico, hanno comportato delle soluzioni tecniche specifiche che riguardano anche i cerchi su cui sono montate. Si tratta perciò di “ruote di sicurezza” con una complicata struttura interna, molto costose e difficili da allestire, simili per certi versi a quelle fabbricate per gli autocarri militari. La “partecipazione” sicuramente indesiderabile dell’automobile a fatti delittuosi è entrata così profondamente nell’immaginario collettivo che molti di noi possono dimenticare i particolari più importanti ma conservano nella memoria marche e modelli coinvolti.
Forse parecchi non sanno o non ricordano il caso di Milena Sutter, nel 1971, ma sarà più facile ricordare il “biondino della spider rossa” (un’Alfa Romeo malandata), il maggior indiziato di quel delitto (Lorenzo Bozano, peraltro né biondo né piccolo, condannato, evaso e ripreso). Erano tempi in cui un delitto teneva banco per mesi ed anni perché non ce n’erano di efferati con la frequenza di oggigiorno.
A molti il nome dei fratelli Savi dice relativamente poco ma la “banda della Uno bianca” richiama senz’altro la catena di delitti che dall’87 al ’94 insanguinò il bolognese. Sì, la memoria visiva porta ad associare le automobili ai fatti che le hanno viste, a modo loro, protagoniste (ricordiamo anche la Renault R4 col corpo di Aldo Moro, nel 1978); basta non fermarsi lì e cogliere l’occasione per ricordare dolorosamente quanto speriamo non debba più ripetersi.
Carlo Sidoli