Filosofia della tecnica. Italia, Paese di tifosi

Filosofia della tecnica. Italia, Paese di tifosi
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Dal tifo per la propria squadra del cuore, calcistica o di Formula 1 che sia, al supporto per i politici, gli italiani sono un popolo di tifosi
5 febbraio 2015

C’è una bella differenza tra “avere il tifo” e “fare il tifo”. Eppure quando il tifoso è sovreccitato il suo aspetto non è molto diverso da quello di un malato soggetto ad un elevato stato febbrile. Per questa ragione, dalle nostre parti, si usa lo stesso termine. Altrove si usa piuttosto l’equivalente di “sostenitore”. In certe occasioni non solo l’estetica, ma anche la capacità di ragionare e lo stato confusionale accomunano malato e tifoso. Naturalmente esiste tutta una letteratura in campo psicologico che ha studiato i motivi per cui tante brave persone occupano parte o tutto il tempo libero da impegni per “tifare” per i propri beniamini.

 

Fin dai tempi antichi i potenti dell’epoca, preoccupati che certe animosità inducessero il popolo a mettere in discussione la loro “leadership”, incanalavano i bollenti spiriti nelle arene dove potevano scatenarsi sugli spalti. In Italia si fa del tifo a proposito e a sproposito al punto che, rinunciando completamente ad utilizzare il raziocinio, si tifa persino in politica (“per partito preso”): il che significa aderire ciecamente ad un programma di un partito anziché cercare di volta in volta il partito che più si avvicina al proprio personale programma. Ci sono delle forme di tifo assolutamente comprensibili, ad esempio quando dal successo dei propri beniamini deriva un benessere comune.

 

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Roger Federer, campione di tennis

Non c’è dubbio che nel duello tra Davide e Golia gli ebrei avessero fondati motivi per sostenere il giovane contro il gigante che minacciava sfracelli. Anche un certo nazionalismo e, più localmente il campanilismo, hanno un loro motivo comprensibile. In fondo, come tutti gioiremmo dei successi dei nostri figli, così in senso lato ci sentiamo partecipi delle vittorie dei nostri compatrioti.

 

Negli sport individuali, come il pugilato, il tennis, l’atletica e il ciclismo o nella lirica non è raro che l’eccezionale bravura di un esponente faccia superare la barriera etnica e che si trovino molti appassionati che tifano “straniero”. Cassius Clay, Roger Federer o Maria Callas sono esempi in proposito. Ciò premesso e con la consapevolezza di toccare un argomento scottante per via dell’enorme massa dei coinvolti, esprimo il parere che il tifo calcistico rasenta l’irrazionale. Sì, perché si tifa la squadra e ciò è fonte di numerose contraddizioni. Andrebbe tutto bene se la squadra fosse quella del proprio paese, composta da giovani lì nati o cresciuti. Invece, è tutto il contrario.

Se tutti i giocatori di una squadra passassero nell’altra e viceversa, i tifosi rimarrebbero attaccati alla maglia dell’Inter o del Milan inneggiando a quelli che poco prima definivano dei brocchi

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Primo: conosco molti che da milanesi o brianzoli (faccio un esempio) tifano Juventus e in uno “scontro” col Milan o con l’Inter preferirebbero di gran lunga la vittoria del team torinese, anzi questo è il massimo delle loro soddisfazioni. Secondo: i giocatori sono dei mercenari straricchi in gran parte (e talora nella totalità) provenienti da luoghi e nazioni lontani. Terzo: i giocatori cambiano rapidamente casacca alla rincorsa del maggiore ingaggio, mostrando nessun attaccamento alla squadra per cui spasimano i tifosi che pagano per andarla a vedere. L’assurdo è che, per restare nel milanese, se tutti i giocatori di una squadra passassero nell’altra e viceversa, i tifosi rimarrebbero attaccati alla maglia dell’Inter o del Milan inneggiando a quelli che poco prima definivano dei “brocchi”. Tra i grandi rimane forse solo Totti a incarnare lo spirito di una città e di un grande team. Ma dove sono i nuovi Rivera, Mazzola, Boniperti, Riva che mai avrebbero lasciato la loro maglia? Quei campioni vivono ancora tutti e varrebbe la pena di chieder loro cosa ne pensano di questa situazione.

 

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Ecco  la Ferrari SF15-T la monoposto per la stagione 2015

E veniamo all’automobilismo (“stagione 2015” imminente) dove le componenti sono due: pilota e scuderia. In Italia si tifa quasi esclusivamente Ferrari anche perché molte circostanze, già ben esaminate da grandi competenti, hanno ridotto al lumicino la partecipazione dei piloti di casa nostra. Mi sembra, quella dei sostenitori della Casa di Maranello, una posizione corretta a mente calda ed a mente fredda. Il tifoso vede l’affermazione del prodotto italiano e del lavoro dei propri tecnici e meccanici. Gli altri non possono trascurare il fatto che il marchio resta uno dei più validi ambasciatori di quel che resta dell’industria del nostro Paese.

 

 

Carlo Sidoli

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