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C'è una voce critica, di quelle piuttosto autorevoli, che ha criticato la cessione di Magneti Marelli da parte di FCA. E' quella di Romano Prodi, ex premier, ex Presidente della Commissione Europea ed ex Presidente dell'IRI negli anni '80 e primi anni '90, nella cui veste curò il passaggio della Alfa Romeo pubblica all'allora Fiat.
In un editoriale su Il Messaggero che fa il punto sulla situazione dell'automotive italiano, Prodi si dice perplesso sul passaggio alla giapponese Calsonic Kansei della storica azienda di Corbetta, definita il «più grande ed illustre produttore italiano di componenti».
Prodi riconosce la «necessità di impiegare, da parte della Fca, maggiori risorse nella progettazione e nello sviluppo di nuovi modelli, soprattutto nel campo dei prodotti del futuro, come l’auto elettrica, che richiede davvero enormi quantità di denaro», ma trova incomprensibile «che, dei 5,8 miliardi ricavati dalla vendita, ben due di essi saranno versati direttamente nelle tasche degli azionisti».
L'ex presidente de L'Ulivo si riferisce al dividendo straordinario di 1,3 euro ad azione che è stato riconosciuto agli azionisti di FCA a compensazione della cessione: «Tutto bene e tutto legittimo ma certo non il segnale di una strategia dedicata a fare assumere alla Fiat Chrysler un ruolo di leadership nella produzione dell’auto del futuro, dove i concorrenti spendono somme infinitamente superiori nella ricerca e nello sviluppo dedicati all’innovazione», aggiungendo «Non è quindi paradossale concludere che solo una parte minore delle risorse ricavate dalla vendita della Magneti Marelli potrà essere dedicata alla ricerca del nuovo», argomenta Prodi.
«D’altra parte sono ormai anni che registriamo una continua perdita di vigore della nostra industria automobilistica, riguardo alla quale ci siamo giustamente consolati con i risultati dei nostri produttori di componenti», constata l'ex primo ministro, per il quale «È quindi triste dovere constatare che, avendo scelto di isolarci da tutti gli altri Stati europei e di non collaborare con nessuno, l’Italia stia compromettendo il futuro delle imprese operanti in un settore nel quale abbiamo ancora qualcosa da dire».