Per inviarci segnalazioni, foto e video puoi contattarci su info@moto.it
Se n’è andato così, senza preavviso, in una calda giornata di luglio Sergio Marchionne. E’ stata forse l’unica cosa che l’ex ad di FCA non aveva pianificato nella sua roadmap 2018-2022, convinto com’era di restare in sella almeno a Ferrari fino al 2021.
Invece con la sua prematura scomparsa ha lasciato FCA senza la sua guida in questi ultimi dodici mesi che sembrano essere una sorta di “anno zero” per FCA. Zero come la cifra a cui ha portato l’enorme debito che il Gruppo torinese - nel frattempo diventato tanto americano, ma anche un po’ inglese ed un po’ olandese, in una parola internazionale - aveva accumulato prima del suo arrivo sulla poltrona di ceo.
Cosa è successo nel frattempo senza Marchionne? Uno dei fronti più attivi è stato Ferrari, che ha consolidato la sua posizione di leader sul mercato del lusso, una posizione corroborata dai bilanci e ulteriormente confermata dall’apprezzamento della comunità finanziaria da cui Marchionne proveniva, che ha portato le quotazioni del titolo (che lui ha voluto fosse collocato in Borsa insieme a CNH Industrial dopo lo scorporo) a triplicare il loro valore.
Il Cavallino, le cui redini nel frattempo sono passate a Louis Camilleri, nell’ultimo anno ha puntato su modelli ancora più prestigiosi di quanto faccia in regime di “normale amministrazione” come Monza SP1 ed SP2 e la ibrida SF90 Stradale e sostituito la 488 con la F8 Tributo, che sarà per il prossimo quinquennio il modello V8 di maggiore peso per la Casa emiliana.
In casa FCA, per ora guidata senza infamia e senza lode dal tandem John Elkann-Mike Manley, gli ultimi mesi quanto a nuovi prodotti non sono stati proprio scoppiettanti, perché il tema del momento è quello della ricerca di liquidità e di alleati per realizzarli.
In quest’ottica si inserisce la cessione di Magneti Marelli ai giapponesi di Calsonic a cui Marchionne aveva dato l’ok e la ricerca di un partner di peso con cui fondersi che l’ex ad ha predicato per lungo tempo come mossa necessaria non solo per la sua azienda, ma per tutto il comparto dell’automotive.
Intanto, in attesa che si concretizzi quanto promesso dalla concept car Fiat Centoventi, a Mirafiori l’auto a batterie la si fa con quel che c’è in cambusa, cioè con il telaio e la carrozzeria della 500 per una nuova versione elettrica della longeva 500 dopo quella americana che in Europa sarà lanciata nel 2020.
Alfa Romeo invece non naviga in acque calmissime sul mare del mercato dopo l’entusiasmo suscitato prima da Giulia e poi da Stelvio. C’è bisogno urgente di mettere carne al fuoco e a questo servirà la Alfa Romeo Tonale, il cui lancio inizialmente previsto nel 2020 potrebbe però slittare al 2021 stando agli ultimi rumors. Jeep invece è stato il primo marchio a ricevere le motorizzazioni ibride, ma in concessionaria non sono ancora arrivate, mentre la novità di maggior peso è rappresentata dalla Gladiator, che però è in sostanza una versione pick-up della Wrangler, cioè nulla che faccia pensare ad un exploit di immatricolazioni.
La vicenda (sinora) più importante della FCA post-Marchionne è stata senza dubbio quella del matrimonio sfumato con Renault. Annunciato e poi cancellato nell’arco di dieci giorni, sarebbe servito soprattutto a realizzare sinergie importanti nel crescente settore dell’auto elettrica di larga diffusione, nel quale Fiat-Chrysler è rimasta fortemente indietro rispetto ai competitors. Oggi in molti si chiedono se la trattativa sarebbe andata in porto con Marchionne ancora al suo posto. Quel Marchionne che convinse Obama a prestargli i soldi dei contribuenti USA per comprarsi una decotta Chrysler, ripagando il debito con ben sei anni di anticipo interessi compresi, cosa avrebbe fatto di fronte alla recalcitranza del Governo Macron?