Evoluzione della specie automobilistica: quando le macchine avevano le pinne

Evoluzione della specie automobilistica: quando le macchine avevano le pinne
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Sul finire degli anni Quaranta in America cominciò la guerra per l'egemonia tra auto "con le pinne". Solo a metà anni Sessanta il filone si chiuse, ma qualcuno ancora le propone, accennate
1 luglio 2022

Se volete qualcosa dal passato dell’automobile che valga anche come storia da ombrellone, ecco servita quella delle pinne. Non certo riferendosi a quelle funzionali al nuotare, di pesci o persone. Nemmeno si parla di mezzi anfibi, parliamo delle vecchie forme di carrozzeria, andate di moda soprattutto in America, per il posteriore di auto note negli anni Cinquanta e Sessanta.

Anche da noi in Europa alcuni esperti possono ricordare questa tappa dell’evoluzione stilistica nell’auto, breve. Tanto lontana oggi da meritare, volendo l’organizzazione, una classe a qualche Concorso d’Eleganza come Villa d’Este.

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Ispirazione aeronautica

Sotto l’ombrellone come in strada, è difficile vederne, eppure quelle forme esagerate al posteriore delle auto attraevano al tempo. Pinne che presero ispirazione dal mondo aereo del secondo dopo guerra, almeno in GM e Chrysler, mattatrici del filone, pur se quelle pesanti e voluminose auto non volavano di certo come i jet (al tempo balzati alle cronache per come pensionavano molti aerei con eliche).

I primi passi evolutivi delle pinne automobilistiche si vedono a fine anni Quaranta. Prima elemento decorativo, poi via via sempre più preponderante nella visione dell’auto, con apice di popolarità e dimensione a fine anni Cinquanta. Poi, da metà anni Sessanta, l’estinzione quasi totale anche negli USA. È proprio in America dove anno dopo anno, alcuni designer di affermate Case stupivano il pubblico con auto dalla pinna sempre più affilata, la stessa Ford che fu forse la Casa meno coinvolta nella rincorsa alla pinna più cool, conta vari modelli pinnati, tra cui le T-Bird.

Secondo alcuni over45 italiani, le pinne più note sono quelle della batmobile nella serie TV prodotta negli anni Sessanta, ma veri esperti americani, dicono che le pinne migliori furono quelle che usavano le Chrysler Imperial o certe DeSoto, con elementi cromati semicircolari ed effetti visivi ricercati, sempre a ispirazione spaziale.

Riferimento riconosciuto globalmente è però la gamma Cadillac a cavallo tra Cinquanta e Sessanta. Alcune di queste auto, come la mitica e rara El Dorado Biarritz modello 1959 (additata come massima evoluzione della specie) sembrano davvero pensate per partire con missioni NASA, se non avessero le ruote e talvolta la capote.

Una P1800 alla Boxberg Klassic di qualche anno fa: guidarla è stato meno "agile" di quanto si possa pensare
Una P1800 alla Boxberg Klassic di qualche anno fa: guidarla è stato meno "agile" di quanto si possa pensare

Con i primi anni Sessanta, si invertì la rotta nell’evoluzione delle pinne automobilistiche. Dopo aver superato il metro da terra e integrato elementi di faro o altro, prettamente coreografico, divengono via via sempre più semplici. Questione di moda, ma non solo. Anche per i costi, vedendo che certe saldature erano fatte a mano e per la sicurezza, dati certi incidenti a vetture parcheggiate.

L’Europa è stata meno sensibile e meno coinvolta in questa fase stilistica dell’auto, ma si contano modelli di Case tedesche note come Mercedes, per la W111 o Auto Union, per la 1000 SP, dotati di pinne posteriori. Meno elitarie, le stesse Trabant avevano le loro piccole pinne, come anche le longeve Peugeot 404.

Tra le auto italiane che ne erano dotate al tempo, ci sono modelli di serie speciale ma anche no, come le Alfa Romeo 2000, la Fiat 1800 e addirittura, volendo cercar bene, poco indietro da oggi si trova la Lancia Kappa coupé: ne possiede un accenno, di pinna.

La più carina e sportiva con pinne, di taglia europea, a cui non puoi dire di no anche oggi? A parer di chi scrive la P1800, ma visto l’anno di nascita anche lei non è certo cosa leggera e comoda da portare in giro a pieno gas, pur se la usava Simon Templar (Roger Moore).

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