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Nella battaglia senza fine per il predominio nel settore della mobilità pubblica che ha come titolo Ncc e come sottotitolo taxi, va registrata una nuova sconfitta dei primi e, per contro, l'esultanza dei secondi.
In questa nuova contesa, co-protagonista è il Consiglio di Stato che non ha sospeso l'efficacia della Circolare interpretativa del decreto di riforma del settore, come era stato richiesto da Uber, l'app di trasporto pubblico come mezzi privati che più di ogni altro soggetto ha un interesse economico sulla vicenda.
La reazione della rappresentanze delle auto bianche è stata quella di una grande vittoria: “Il Consiglio di Stato non accoglie la richiesta dei legali di Uber di sospendere le norme in vigore nel settore. La potente piattaforma digitale californiana dovrà rispettare le regole del trasporto pubblico non di linea che prevedono per gli operatori del noleggio, l'inizio e la fine del servizio in rimessa”, hanno scritto in una nota.
Nella quale hanno anche aggiunto che “la conclusione dell'iter di riforma del settore, attraverso l'approvazione di uno specifico DPCM che finalmente disciplini in modo chiaro e netto l'operato delle piattaforme tecnologiche. Auspichiamo inoltre - aggiungono - che in un periodo nel quale la politica e le istituzioni si affannano per reperire risorse pubbliche, annunciando nuove misure contro l'evasione fiscale, si possa far pagare regolarmente le tasse ai grandi operatori digitali che stanno disarticolando il nostro settore e più in generale il mondo del lavoro, tutti puntualmente con sede legale in Paesi con un sistema fiscale più vantaggioso".
Nella pratica, resta tutto invariato, cioè le auto a noleggio con conducente continueranno ad avere l'obbligo di rientrare nella rimessa alla fine di un servizio e prima di avviarne uno nuovo, rendendo di fatto impossibile il funzionamento delle app.
Prima del Consiglio di Stato, a pronunciarsi era stato il Tar del Lazio che, il 20 maggio scorso, aveva respinto le richieste dei lavoratori del settore riassunte in un ricorso che, i giudici dell'organo di giustizia avevano ritenuto “non assistito dai richiesti requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora per la concessione della misura cautelare”.