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Immerso nel buio più totale, senza potersi muovere, senza poter fare assolutamente nulla. Solo mangiare e respirare, e parlare, a fatica. Poi la morte, che arriva per eutanasia in una clinica svizzera come una liberazione. E' la storia terribile degli ultimi tre anni di Fabiano Antoniani.
Lo abbiamo conosciuto attraverso i media come un ragazzo cieco e tetraplegico, ma DJ Fabo, come si faceva chiamare da artista, prima di diventare l'ultimo simbolo vivente della lotta per chi reclama il diritto di scegliere della propria esistenza, era una persona normale.
Le cronache ci dicono che è stato un broker, un assicuratore, un pilota di motocross e motard, poi un DJ. Poi a 37 anni, di ritorno da una nottata a far ballare la gente in discoteca ha smesso di essere tutto questo ed è diventato una vittima della strada. Il cellulare che cade di mano, lui che si china a raccoglierlo, lo schianto con un'altra auto. Non ha le cinture e viene sbalzato fuori dall'abitacolo. Una leggerezza, commessa senza neanche accorgersene, la vita che cambia radicalmente.
Da quella notte del 13 giugno del 2014 Fabiano ha lottato per guarire, ma nessuna terapia ha funzionato. Quindi la sua lotta è diventata il poter scegliere di morire. Ci è riuscito con molta fatica e con grande coraggio. Anche con altruismo, visto che ha deciso di mostrare a tutti la sua condizione perché potesse essere di esempio. E con grande altruismo ci ha lasciato un grande insegnamento.
Prima di morire ha detto: «Non prendetemi per scemo ma devo chiedervi un favore: mettete sempre le cinture. Non potete farmi un favore più grande».
Invece il favore ce l'ha fatto lui, ricordandoci in una maniera più efficace di mille campagne educative che senza cintura si può morire o, forse peggio, condannarsi a vegetare in un letto desiderando nulla più che porre fine alla propria esistenza. Allora allacciamoci sempre le cinture e lasciamo perdere il cellulare mentre guidiamo, come ci ha insegnato Fabiano. Ne vale la pena.