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Il dado è tratto. L'Unione europea ha deciso di imporre dazi alle auto elettriche cinesi. A nulla sono servite settimane di negoziati e incontri d'alto livello. Non è servito neppure l'invito in extremis, da parte della Cina, di esperti europei a Pechino per intrattenere colloqui su un fantomatico sistema che avrebbe offerto garanzie di prezzo minimo. La guerra delle auto tra l'Occidente, il vecchio veterano del settore, e la Repubblica Popolare Cinese, l'allievo che sta superando il maestro, è dunque ufficialmente iniziata. Fino a dove arriverà? E con quali conseguenze? Molto probabilmente i consumatori non percepiranno sulla loro pelle gli effetti dei dazi, visto che i brand asiatici dovrebbero riuscire ad assorbire le tariffe e realizzare comunque un profitto. E questo perché i colossi cinesi hanno già effettuato una breccia nel mercato europeo, sono entrati nel Vecchio Continente e hanno avviato la costruzione di fabbriche in loco (come BYD in Turchia e Ungheria). Strutture che, non appena diventeranno operative, potranno produrre automobili localmente scavalcando qualsiasi misura di Bruxelles.
La palla passa adesso alla Cina: come reagirà Pechino? Un'idea di ciò che potrebbe accadere può essere fatta leggendo i quotidiani del Dragone. Il China Daily scrive che “i dazi Ue sui veicoli elettrici cinesi non servono a nessuno”, e che la mossa di Bruxelles “danneggerà gli interessi dei consumatori europei”, “ostacolerà il piano di transizione verde dell'Ue”, comprometterà “i legittimi diritti e interessi delle aziende cinesi di EV” e frenerà “il loro entusiasmo a investire in Europa”. Si fa poi notare un paradosso: ovvero che le tariffe dovrebbero proteggere i produttori di automobili dell'Ue, ma che persino i giganti europei dell'automotive, come BMW e Mercedes-Benz e Volkswagen, vi si oppongono. In questa lunga perifrasi ci sono almeno due avvertimenti. Il primo: la Cina potrebbe chiedere ai suoi colossi dell'automotive di ridurre gli investimenti in Ue. L'indiscrezione, rilanciata anche da Reuters e Bloomberg, sottintende che tutti quei governi europei che avevano corteggiato per mesi i brand cinesi, nella speranza che potessero mobilitare capitali freschi per avviare nuovi progetti, saranno costretti a cambiare strategia. Il secondo punto: i produttori cinesi di EV guarderanno altrove. Smetteranno, cioè, di flirtare con i Paesi ricchi dell'Europa per concentrarsi sui cosiddetti Paesi in via di sviluppo. Alcuni esempi? Lo scorso giugno Neta Auto, un marchio sviluppato dalla startup Zhejiang Hozon New Energy Automobile Company, ha aperto il suo primo flagship store in Kenya. L'azienda intende aprire 100 negozi in 20 Paesi africani nei prossimi 2-3 anni e a vendere più di 20.000 veicoli. Sempre a giugno, Xpeng Motors ha introdotto i suoi modelli G9 e P7 sul mercato egiziano per espandere ulteriormente le sue vendite internazionali.
I dazi dell'Ue, nelle intenzioni di Bruxelles, limiteranno la crescita della quota di mercato dei brand cinesi in Europa. Dando, di pari passo, alle case automobilistiche del Vecchio Continente un po' di respiro per riorganizzarsi al meglio così da recuperare terreno sui rivali asiatici. Bisogna tuttavia considerare due fattori. Prima di tutto, la maggior parte delle citate case automobilistiche europee è ancora estremamente dipendente dal mercato cinese – basti pensare alle tedesche – e dunque soggetta a ritorsioni economiche. In secondo luogo, la Cina è almeno una generazione avanti rispetto ai principali player automobilistici dell'Eurozona in materia di tecnologia EV, e quindi una sfida diretta al Dragone potrebbe rivelarsi addirittura mortale. Intanto, apprendiamo che lo scorso 10 ottobre il ministero del Commercio cinese aveva convocato importanti aziende automobilistiche – comprese BYD e Geely - mettendole in guardia sui rischi di aprire fabbriche in Paesi come Francia e Italia, e chiedendo loro di astenersi dal fare investimenti nei territori di nazioni europee che avessero sostenuto i dazi.