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È ufficiale: la Danimarca vieterà la ricerca di nuovi giacimenti di petrolio e di gas naturale nel Mare del Nord, come parte di un più vasto progetto di riduzione dell’estrazione dei combustibili fossili e delle loro emissioni entro il 2050. Non approverà quindi nuove concessioni, che consentono alle aziende di cercare e produrre gas naturale e petrolio; quelle già emesse resteranno valide fino al 2050.
È una delle misure più drastiche approvate finora da un paese produttore di greggio: la Danimarca infatti è il più grande produttore di petrolio dell’Unione Europea (anche se ne produce molto meno di Norvegia e Regno Unito che, pur geograficamente vicini, non fanno parte dell’Unione Europea). Il ministro dell’Ambiente danese, Dan Jorgensen, ha detto: «Stiamo mettendo fine all’era dei combustibili fossili», «questa decisione avrà conseguenze in tutto il mondo».
In Danimarca ci sono 55 piattaforme estrattive e 20 giacimenti di gas naturale e petrolio: secondo l’Agenzia dell’energia danese, quest’anno il paese avrà prodotto una media di oltre 100mila barili di petrolio e gas naturale al giorno. Nel 2019 l’industria energetica ha rappresentato l’1,1 per cento del PIL nazionale, e secondo il governo rinunciarci costerà al paese 13 miliardi di corone danesi, pari a 1,75 miliardi di euro. Si tratta «di una piacevole aggiunta, ma non rappresenta il cuore dell’economia», ha spiegato l’economista capo della Banca danese, Las Olsen, e lo ha confermato anche la crisi portata dal coronavirus.
Nel terzo trimestre del 2020, infatti, l’economia danese si è contratta del 4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019: non è stata quindi travolta dal crollo del costo del petrolio come le economie che ne sono fortemente dipendenti, ad esempio quelle della Nigeria e dell’Iraq.