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Quando e come, e da dove è partita l’”aventure italienne” della Galerie Peugeot”? perché San Gimignano? Insomma, quale è la storia?
«Ho iniziato per caso, come accade per molte cose di questa vita. Cominciamo da San Gimignano. Quello non è un caso. Abitavamo a Firenze, ma un giorno abbiamo deciso di trasferirci per far fare un salto di qualità alla nostra vita. Le Macchine, le Peugeot, sì, per caso. In casa avevamo sempre macchine italiane. Finché erano Lancia o Alfa Romeo andava ancora bene, ma poi mio padre iniziò a compare delle Fiat e un giorno mi mandò a ritirare una Ritmo diesel. Bel motore, design, ma dopo un po’ cominciavano a perdere i pezzi. Andavi ad abbassare il finestrino e ti rimaneva la manovella in mano. Per contro, lavorando in Africa e Medio Oriente, avevo attraversato il deserto, su piste incredibili, con delle Peugeot, ed ero rimasto stupito. Macchine “normali”, anche molto vecchie, o senz’altro più anziane rispetto a quelle che avevamo in Italia, ma perfette, efficienti, comode, robustissime.»
«Quando poi Peugeot ha creato il Club storico, mi ha chiesto di diventare uno dei soci fondatori, e io ho aderito al volo, naturalmente»
Quale è stata la prima macchina?
«Ho iniziato con una 304. Nel 1982. È proprio quella che potete vedere nel mio “museo”. Proprio quella. Poi la 203 acquistata in Trentino, mai ritirata perché il “signore” che me l’ha venduta… lasciamo perdere. Una dopo l’altra, una qui e una là, le tenevo in diversi posti, dal mio babbo, a casa nostra, dagli amici. Non avevo posto, e allora, con la scusa del lavoro, ho comprato un piccolo capannone. Pieno quello, che faccio? Smetto o continuo? Smettere era un’opzione, ma mi dispiaceva non mettere a frutto tutta la conoscenza che nel frattempo mi ero fatto delle Peugeot. Così ho deciso di vendere il capannone di costruire la nostra sede attuale. Non più un magazzino, ma un luogo dove custodire e poter far vedere le mie Macchine. Non era ancora nata l’idea di un museo, ma di fatto lo era. L’ho fatto in un momento in cui si potevano fare queste cose, quando le tasse comunali ancora…vabbè, la collezione iniziava a crescere, anche di modelli che sono molto rari, fino a una cinquantina di mezzi, tutti importanti del Marchio del Leone. Quando poi Peugeot ha creato il Club storico, mi ha chiesto di diventare uno dei soci fondatori, e io ho aderito al volo, naturalmente. Da lì ho iniziato a covare l’idea di un mio Museo, un po’ diverso dalla consuetudine, per esempio ispirato al motto del Club 404, “Aderire per viaggiare”. Insieme, aiutarsi a rimetterle a posto, trovare i pezzi, restituire efficienza alle Macchine, e usarle. Sto in una via di mezzo tra il concetto italiano e la via francese del restauro per vivere il mezzo, senza arrivare agli eccessi degli uni e degli altri.»
«Eravamo tutti lì, tutto era pronto, ma il signor Peugeot aveva voluto, prima di ufficializzare l’evento, controllare personalmente che tutto fosse rigorosamente aderente all’idea del marchio e della sua storia, e ai suoi criteri di affezione al marchio»
Avanti, per favore, lo step successivo?
«Pronta la struttura, sistemate le Macchine, avevo avuto l’autorizzazione a chiamarla Galerie Peugeot, e all’inaugurazione era venuto dalla Francia addirittura Thierry Peugeot. Eravamo tutti lì, tutto era pronto, ma il signor Peugeot aveva voluto, prima di ufficializzare l’evento, controllare personalmente che tutto fosse rigorosamente aderente all’idea del marchio e della sua storia, e ai suoi criteri di affezione al marchio. Da lì le altre iniziative, i libri, la catalogazione, punti di riferimento per orientarsi nella selva di approssimazioni. Si iniziò dalla guida alla 205. Una sintesi del mio lavoro e dei miei studi, il compendio di tutte le domande che mi ero posto e di tutte le risposte che avevo trovato. E poi la serie, per modelli, per fasce di età, tipologia.»
Ma perché Peugeot?
«Il caso, la storia africana che mi aveva fatto conoscere quelle Macchine, vetture “normali”, ma straordinarie e totalmente affidabili, come ho detto. E poi quell’amico conosciuto durante il servizio militare, che avevo ritrovato dopo e scoperto che aveva una concessionaria Peugeot, una rarità, all’epoca, in Toscana. Ci vedevamo, ma tutte le volte, prima di andare a ballare o a mangiare una pizza, la tappa obbligata era il suo magazzino, le microfiche, la scoperta di macchine mai viste come le cabriolet di Pininfarina. E da lì la ricerca e raccolta di documenti, di tutto quanto parlasse o istruisse di Peugeot. Ne ho una quantità impressionante.»
«Non si compra una Peugeot per “fare un affare”, non è una Porsche o una Ferrari, che compri a dieci e rivendi a 30, qui è più facile, semmai, rimetterci qualcosa, ma è un tema, una passione, una testimonianza affettiva»
Come è cambiato il mondo del collezionismo di auto da quando hai iniziato?
«Stava già cambiando, quando ho iniziato. E uno dei difetti che maturavano, ma che c’è sempre stato e che ci sarà sempre, è collezionare per rivendere e “fare l’affare”. Questo non mi piace. Non si compra una Peugeot per “fare un affare”, non è una Porsche o una Ferrari, che compri a dieci e rivendi a 30, qui è più facile, semmai, rimetterci qualcosa, ma è un tema, una passione, una testimonianza affettiva. Sono altre le soddisfazioni, non il denaro, non la speculazione! È un difetto che c’è sempre stato, ma che certamente negli anni ottanta ha avuto una specie di boom. Prima le macchine erano vecchie e si buttavano via, poi è arrivata gente che diceva di avere dei tesori. Qui vicino, a San Casciano, c’era un signore che aveva una Peugeot 172. L’avevano tagliata, modificata, “assassinata”, era diventata un trattore per evitare la requisizione durante la guerra, in pessime condizioni e discutibile. Morto il signore, la famiglia non volle darmela sebbene avessi offerto una cifra considerevole. Pensavano che valesse un patrimonio, ma non era così. Il collezionismo, secondo me, è vivere la Macchina, non possederla o volerla per il suo valore. Oggi non posso guidarle tutte, ma mi piace vederle lì, sapere di conoscerle benissimo, sentire l’odore della tappezzeria uguale a trenta, cinquanta, cento anni fa, vedere come si facevano le cose in altre epoche. Sensazioni.»
«Ho cercato di tenere le “invendibili”, quelle con le quali il legame affettivo è enorme. Ne ho vendute, ma poi mi piange il cuore quando vengo a sapere che sono state usate per un po’ e poi, magari, rottamate»
Si può, oggi, fare quello che hai fatto tu trent’anni fa?
«Adesso credo che sarebbe molto difficile. Un po’ per la legislazione per le norme, che sono veramente punitive. In Toscana abbiamo i “bolli” più cari del mondo, e iniziare a collezionare dei mezzi quasi contemporanei è impossibile. Io stesso, a causa degli ultimi “aggiornamenti” normativi e con la tassa comunale sul mio immobile… lasciamo stare, ho dovuto iniziare a vendere delle macchine. Non potevo, non potrei, probabilmente non posso, se faccio due conti, più permettermelo. Ho cercato di tenere le “invendibili”, quelle con le quali il legame affettivo è enorme. Ne ho vendute, ma poi mi piange il cuore quando vengo a sapere che sono state usate per un po’ e poi, magari, rottamate.»
«Sono sincero, è diventata una passione che ha un costo insostenibile»
Quindi una passione difficile da coltivare?
«Sì, direi che oggi è quasi impossibile coltivare una passione così e non scendere in un conflitto anche personale, morale… economico. È un dibattito personale che affronto ogni anno. Sono sincero, è diventata una passione che ha un costo insostenibile. Ho un altro lavoro, l’ho portato qui per vivere e lavorare insieme alla mia passione, continuo a farlo in quella certa maniera che mi ha fatto conoscere, e, credo, apprezzare, ma ho paura di finire per stancarmi di dover lottare ogni giorno.»
La Galerie Peugeot è in via per Fugnano a San Gimignano, Siena. È aperta da Pasqua a novembre, in inverno solo su appuntamento contattando Daniele Bellucci al 335.65.67.417 o al 0577.94.22.20