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La Formula E a Roma è stata un cortocircuito storico, epistemologico, di fatto. Vi spiego il perché.
Anni fa ero a Roma per intervistare Davide Giugliano, pilota Superbike. Arrivai da Milano bello tranquillo con il mio iPad sotto braccio. Appena fuori dalla stazione Termini un signore mi fermò. Ma che fai, mi disse, mettilo subito in borsa quel coso, indicando l’iPad. «Qui te scippano». A Milano non mi era mai successo. Primo segnale. Dopo prendemmo un’auto e andammo a casa Giugliano: Fiumicino. E sia lungo la strada, sia una volta arrivati avvertii quella sensazione che avevo già avuto in altre occasioni in cui ero stato nelle periferie romane, quella sensazione di abbandono e di sciatteria che al fotografo che era con me fece dire: guarda qua, pare la Somalia. Era un fotografo di guerra, non parlava a caso, in Somalia c’era stato davvero. Con Davide andammo a fare degli scatti in un bosco dove aveva girato delle scene pure Pasolini. Lì c’era un custode, anche lui abbandonato a se stesso dentro un casolare completamente da ristrutturare. Raccontò che lui Pasolini lo conosceva e che il regista conosceva quella zona perché ci veniva spesso a fare i suoi servizietti con i ragazzini. «Pasolini era un genio però c’aveva quel vizietto, che ci vuoi fa’?».
Mi guardai intorno: l’erba non veniva curata da secoli, era tutto lasciato al caso, si respirava disagio. Che ci vuoi fa’?, questa è una frase che rappresenta bene Roma, pensai. Perché la bellezza di Roma ti sconvolge, però in chi la vive tutti i giorni, invece di dare un punto di riferimento spesso provoca l’effetto contrario, così i signori che giocano a carte di giovedì pomeriggio alle quattro fuori dai bar, cotanta Storia la usano per giustificare un atteggiamento remissivo, della serie: lo vedi la meraviglia del Colosseo? lo vedi quer palazzo di duemila anni fa? È sempre stato lì e sempre ci resterà e qualsiasi cosa tu possa fare, qualsiasi cosa possa succedere, qualsiasi problema ti possa capitare che ti sbatti a fare, tanto non cambierà mai niente. Questo concetto fu sintetizzato perfettamente da un politico democristiano, quando disse: «Molti vengono qui con idee nuove, con la voglia di fare, vogliono cambiare Roma ma poi è Roma che cambia loro». Già, appunto. Roma alla fine di tutto, delle residenze imperiali, delle piazze meravigliose, degli scavi due metri sotto terra, delle scritte fasciste sui muri, delle trattorie con l’amatriciana, questo comunica: immobilismo. Niente cambierà, che ci vuoi fa’.
E invece a Roma ecco che arriva la Formula E, vinta da Bird, il futuro sotto forma di motorsport, con i colori bianchi e celestino che fanno molto pulizia, con le auto elettriche, il silenzio invece della sboccataggine. E la solita ironia dei taxisti, che senza di loro Roma mica sarebbe Roma. “Formula E ma lo sai cosa vuol di?” mi dice uno.
- No, rispondo
- Formula E-sticazzi!
Fantastico. Ma con la Raggi qualcosa sta cambiando? domando.
- Non sta cambiando niente. Questa qui ha fatto la Formula E invece di fa le Olimpiadi...
Peccato che la Toyota che ci sta portando alla serata del team Jaguar Racing sia elettrica. Quindi tanto sbagliata la scelta non dovrebbe essere, ma al taxista mica gli frega molto. Ci lascia al Circo Massimo, perché l’evento è qui, dove una volta ci correvano le bighe. E in fondo al Circo Massimo c’è ancora la torretta in cui l’imperatore Diocleziano guardava le gare, proprio sopra alla curva più bella, da dove poteva vedere anche la sua residenza al Palatino, in cui una volta iniziava la vera città.
Dalle bighe alla Formula E ci sono quattromila anni di Storia ma sempre qua stiamo, perché tutte le strade portano qui, non ci si sbaglia. E qualsiasi evento a Roma mi fa tornare in mente il fotografo Umberto Pizzi, che un giorno verrà valutato per quello che è: il migliore cantore e ritrattista della grande bellezza e della dolce vita, cioè di quelle feste in cui si mischiavano e si mischiano potere e politica, Bertinotti di Rifondazione Comunista e Valeria Marini, dei Porta a Porta privati insomma, feste che poi venivano pubblicate quasi quotidianamente sul sito dagospia. Perché a Roma anche la più grande disgrazia o nefandezza viene smorzata con una battuta, alleggerita, ché la leggerezza aiuta, tanto che ci vuoi fa’. Roma è così, sì, tutto si mischia (mondo alto, mondo basso e mondo di mezzo, Suburra e Carminati docet, tutto resta, passa e comunque si rigenera. Un casino.
Dalle bighe alla Formula E ci sono quattromila anni di Storia ma sempre qua stiamo, perché tutte le strade portano qui, non ci si sbaglia
Però è Roma, però è bella, però è meravigliosa, che ci vuoi fa’. E alla serata di Jaguar (con Panasonic come main sponsor), nella Domus del Circo Massimo, la bellezza e la leggerezza sono le protagoniste. I due piloti, Nelsinho Piquet e Mitch faccia da duro Evans, parlano alla stampa mentre Daniele Maver, ad di Jaguar e Land Rover Italia, rivendica l’impegno di Jaguar di essere uno dei primi top brand ad aver creduto nella Formula E e nell’elettrico in generale (qui era esposta anche la I-Pace). «Con tutte le difficoltà strutturali che ci sono ancora non possiamo ignorare che la direzione è questa e che il futuro, inevitabilmente, arriva. E noi ci siamo, siamo pronti». C’è chi lo capisce e chi lo subisce. Un altro taxista, quello che ci porta nell’hotel all’Eur, la zona dove è stato adibito il circuito, deve far parte della seconda categoria, e mentre andiamo fuori dal centro, e ripassiamo per ponti per niente illuminati, erba non curata ai bordi delle strade, ci indica una pompa di benzina: «La vedete? Lì ci stanno le migliori mignotte de Roma, 20 euro e ti togli il pensiero».
Alto e basso, appunto. Menomale che arriviamo presto. E menomale che l’Eur, invece, per ospitare la Formula E è stato tirato a lucido. Qui, il cortocircuito romano si dipana in tutta la sua chiarezza. Storia e futuro, eternità e movimento. La zona Eur risale agli anni Trenta, con il Palazzo della Civiltà Italiana, il cosiddetto Colosseo quadrato, il Museo Nazionale delle Arti e delle Tradizioni Popolari, l’Obelisco e altre costruzioni imponenti, tipo il Palazzo dei Congressi, per l’occasione diventato media center. Il significato simbolico di questo evento insomma si avverte. Anche perché in mezzo alla Storia avverti anche e soprattutto questi sibili, questi fischi di sottofondo. Fzsiuu....
Il rumore quindi. A cosa assomiglia? In ordine, sembra un ultraleggero che atterra, la metro viola di Milano, una macchina radiocomandata, e sarà per questo che poi quando le vedi e vedi gli on board camera sembra tutto un videogioco, come se ci fosse qualcuno a telecomandarle in tribuna. Il fischio comunica facilità e accessibilità, ti dà l’idea che anche tu possa guidare senza problemi sti bolidi tutta coppia. E tutta la zona del circuito pare un parco giochi, c’è molto spazio dedicato ai bambini e alle famiglie, c’è addirittura una parte chiamata Inspire con gente che si allena e si applaude alla fine di ogni esercizio. Si capisce che la Formula E vuole comunicare apertura e sostenibilità.
Il rumore quindi. A cosa assomiglia? In ordine, sembra un ultraleggero che atterra, la metro viola di Milano, una macchina radiocomandata
Chiunque si lamenta dell’assenza di rumore e di emozione ma… avete mai guidato un qualcosa di elettrico? Scooter o auto. Tutto subito. Rischi tre incidenti al giorno nel tragitto casa lavoro perché nessuno ti sente e vai veloce, velocissimo, perlomeno in ripresa. Quando acceleri avverti una scarica alla colonna vertebrale che ti fa salire l’adrenalina, e pure una certa emozione, certo non è l’emozione che ti dà il rumore di un’auto sportiva ma non è che non sia emozionante, è proprio un’altra sensazione. E anche il rumore non è che non ci sia, c’è, ma anche qui è un altro rumore: niente ruggito, niente rombo, nessun borbottio, ma il sibilo, il fischio, quel fsziuuu continuo. Ecco, la Formula E si potrebbe definire diversamente emozionante, diversamente rumorosa, diversamente competitiva. Perché la gara per il pubblico è quasi un contorno, non a caso è stata la prima gara a cui ho assistito dove la musica proiettata dagli altoparlanti sovrastava il rumore delle macchine; musica elettronica ovviamente. Qui non importa chi vince o arriva dopo, importa l’evento, importa assistere a uno spiraglio di futuro, a una possibilità.
E se molti di quelli che si lamentavano, via via alla Formula E si stanno abituando, già qualcuno si comincia a lamentare delle Roborace, le auto che gareggiano senza pilota (a Roma la Roborace ha fatto due giri dimostrativi, e un pilota dentro c’era ma serviva solo per far immagazzinare i dati all’auto durante il primo dei due giri). Della serie: ci sarà sempre una innovazione a cui potremmo opporci. La verità, rega’ (come si dice da queste parti), è che il mondo si dividerà sempre tra chi si lamenta e chi fa, tra chi si oppone ai cambiamenti e chi cambia le cose.
Anche qui a Roma, passata attraverso imperi che conquistano il mondo e poi cadono, principi, re e capitani, dittature e governi tecnici, Olimpiadi vissute e mancate, sonore sconfitte e rimonte strappalacrime. E forse, a pensarci bene, qui non è vero che tutto è immobile, solo che ogni volta che alzi la testa ogni cosa è talmente imponente e storica che la sensazione di movimento viene molto più dilatata. La Formula E lo ha dimostrato. Ha fatto capire che il futuro è il futuro, lo puoi vivere come folclore o come abitudine, ma quello resta e non ci puoi fare niente, che ci vuoi fa’. Qui Roma, signori, dalle bighe alla Formula E, fate un po’ voi i conti se vi conviene capire meglio cosa sta succedendo o continuare a lamentarvi dentro a un taxi, fuori da un bar, aspettando il pieno a una pompa di benzina.