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Altro che pensare al nuovo anno. Qui siamo già con la testa piena della nuova Dakar, talmente imminente a meno di tre giorni dalla prima tappa che sembra quasi inevitabile arrivarvi… in ritardo. Ci si prepara anche per il veglione di fine anno, ma ciascuno lo farà a modo suo, sicuramente “sdrammatizzando” la cosa più importante dell’anno che deve ancora iniziare sull’inerzia della mole delle ultime “cosette” dell’anno che finisce. Jean-Paul Cottret e Daniel Elena, in conferenza come gli altri componenti del Dream Team Peugeot Total in un famigliare saluto e presentazione presso Peugeot Argentina, non si dimenticano di fare gli auguri, ai compagni di Squadra, agli sponsor, ai nostri lettori. Ma calcano la mano, includendo se stessi nell’augurio più importante, e non detto, taciuto certamente per scaramanzia.
È interessante notare che Jean-Paul Cottret, una vita di successi sul sedile accanto a quello di Stephane Peterhansel, si sente partecipe, appare avvinto, di una situazione globalmente nuova, che è quella venutasi a creare con l’arrivo di Sébastien Loeb alla guida della nuova 2008 DKR16. E del fatto che il fuoriclasse assoluto ha scelto, senza neanche pensarci tropo, di avere al suo fianco Daniel Elena, il navigatore della sua epopea WRC. Stesso Team, stessa macchina, ma posizioni che stanno sui punti opposti del diametro dell’esperienza. Così, chiedendo come intendono cavarsela, e che riflessioni nascono dalla nuova situazione, ci troviamo noi stessi a riflettere più precisamente sul ruolo del navigatore, sempre relegato all’ombra del suo pilota. Inevitabile iniziare dalle domande più semplici e drammatiche…
“J-P” Cottret, super esperto, “D” Elena, un debuttante. Un grande Team, una grande macchina, e di conseguenza grandi obiettivi, e una forte dose di responsabilità. Nota per il primo, tutta da scoprire per il secondo. Come funziona tra di voi, intanto?
Jean-Paul Cottret «Intanto funziona bene, e intanto, senza neanche aver ancora incominciato, è interessante anche la sola idea di scambiare delle esperienze che sono molto diverse, e confrontarsi con visioni e punti di vista differenti. Si inizia bene perché si comincia non prendendo le misure, ma immediatamente condividendo e confrontando. La visione del diverso terreno, per esempio, e il modo totalmente diverso di entrare in contatto con il road book. Nei Rally-Raid come la Dakar siamo noi che prendiamo in mano il ”libro” e dobbiamo interpretare quello che c’è scritto per comunicarne le deduzioni al nostro pilota. Nel WRC, al contrario, è il pilota che “scrive” o da una dimensione alle note, le quali vengono poi “riprodotte” e restituite dal navigatore durante la gara. Per noi del Rally-Raid, nel momento in cui appare uno dei “quadri” inizia una micro corsa alla lettura, all’interpretazione, alla comunicazione nel modo più chiaro e sintetico. Nel WRC le note tornano al pilota sotto forma di “codici”, telegrammi istantanei che il pilota riconosce al volo. Ma tutto questo lo si impara, lo si digerisce e lo si amministra. Intanto uno degli effetti della nuova situazione è che l’arrivo di Daniel mi ha dato l’occasione di mettermi per una volta di nuovo dalla parte dell’inesperto, in un certo senso rimettendomi in discussione e ripassando tutte le terminologie, le attenzioni, il modo di comunicarle, di renderle semplici e perfettamente intelligibili. Fa sempre un gran bene!»
Il Cap, cos’è questo Cap? All’inizio è il termine che mi faceva rabbrividire
Daniel Elena. «Il Cap, cos’è questo Cap? All’inizio è il termine che mi faceva rabbrividire. Tieni il cap, tieni quei gradi bussola sul terreno. Nel WRC non esiste una indicazione tanto approssimativa, mentre qui nei Rally-Raid lo è in modo disarmante, talvolta, come mi spiega il “collega”, tendenzialmente così precisa da diventare capitale! Jean-Paul mi ha aiutato a mettere in ordine le priorità, e questo vuol dire mettere ordine tra le indicazioni successive che queste rappresentano. Un gradino in discesa, un piccolo salto, infilarsi nel oued, attraversarlo, appena uscito prendere a destra e pochissimo più avanti abbandonare la pista per prenderne una più a sinistra di x gradi. Se dico tutte queste cose insieme a Sèbastien, quello si ferma, apre lo sportello e mi invita a scendere! Così Cottret mi ha aiutato a stabilire quali sono le cose da “rivelare” per prime. Quasi sempre, naturalmente, sono quelle indicazioni che riguardano la sicurezza».
Certo, fino a qualche mese fa Loeb aveva una fiducia cieca nel tuo operato, adesso tutto è di nuovo messo, almeno in parte e in linea teorica, in discussione. Con l’”aggravante” che, di solito, è sempre il navigatore che si è sbagliato…
DE. «Già, certo, è sempre il navigatore che ha sbagliato, ma questo lo abbiamo già imparato dalla vita e nel WRC, prima. Per contro, scopro che nel Rally-Raid il co-pilota ha un po’ più di “potere”. Se per esempio dico al mio Pilota di fermarsi, così, anche all’improvviso, che sia per decidere che strada prendere o perché mi sono accorto di una situazione delicata, il pilota non deve avere neanche i tempo di discutere. Si deve fermare e basta. È interessante avere questo potere da gestire, finalmente ☺! Scherzi a parte, il fatto è che questo “potere” è una necessità, perché il navigatore è il solo a sapere dove deve andare la macchina. Nel WRC il pilota ne sa quanto il navigatore, perché hanno fatto insieme le ricognizioni, ma nei Rally-Raid tutto arriva sotto forma di rivelazione dal road book, e il navigatore è il primo che viene a sapere. E via, semplificare, tradurre un disegno in un’immagine chiara nella testa del pilota, fornire il minimo delle informazioni che contengano tutto il da farsi per i prossimi metri cruciali. Talvolta tanta responsabilità mi preoccupa, mi chiedo come è possibile tenere tante cose in testa, tradurle e semplificarle, e poi trasmetterle…»
J-P C: «Ma non devi preoccuparti per questo. Tutto arriverà progressivamente. È questo che vuol dire l’esperienza. È così che piano piano si impara a gestire la mole di informazioni, così che si entra in un nuovo mondo di sintonia tra Pilota e Navigatore. Succede così ed è successo a tutti in questo modo. Ci vuole tempo, la voglia di prepararsi e di crescere, di andare a ficcarsi deliberatamente in situazioni imbarazzanti per capire come si devono affrontare e, soprattutto, risolvere nel momento cruciale della gara, nel quale no c’è tempo per riflettere troppo a lungo. Anche la reattività, la rapidità, la velocità del passaggio delle informazioni diventa oggetto dell’allenamento».
Parliamo in generale, delle grandi verità del cosmo. Oggigiorno pare di osservare che quello tra Pilota e Navigatore sia il modello di matrimonio del futuro. Vedi “Peter” e “Polo”, e anche “Seb” e Daniel”, sono matrimoni che hanno una lunga storia e una forza titanica!
J-P C. «Già, guardiamo indietro, alla fine degli anni novanta. Io ho iniziato con Stephane e Daniel ha iniziato con Loeb. Lunghi anni, in effetti, un’unione professionale che matura e cresce, con un livello di complicità che cresce anch’esso continuamente e si rinforza con l’esperienza…»
Credo che non si esageri a dire che abbiamo passato più tempo con i nostri Piloti che con le nostre mogli!
DE. «E poi, guardiamo ai fatti. Guarda quanto tempo pilota e navigatore devono passare insieme. È enorme, ed è il tempo particolarmente esigente della competizione. La complicità diventa anche una forma di relazione tecnica. Spesso non c’è neanche bisogno di parlarsi, per dirci e capire. Basta soltanto un gesto, una specie di segnale. Metti trecento persone attorno a noi, per esempio. Basta che io faccia un rumore, il “segnale”. E Sèbastien si ferma, si gira, e arriva chiedermi cosa c’è. Efficacia totale della complicità, del “segnale” codificato tra noi. Tutta l’esperienza maturata in anni di crescita professionale, di gare, di situazioni critiche e delicate, forma appunto quella complicità che diventa anche uno dei punti forti dell’Equipaggio. Vale per noi, vale per Jean-Paul e Stephane, allo stesso modo, credo, sebbene i due mondi siano molto diversi.»
Molto bello che ci ricordiate, a noi che siamo abituati a parlare sempre di piloti e a dimenticarci dei navigatori, quale valore abbia l’Equipaggio… quale importanza questo tipo di matrimonio…
DE. «Ah sotto questo aspetto credo che non si esageri a dire che abbiamo passato più tempo con i nostri Piloti che con le nostre mogli!»
J-P C: «E c’è un altro aspetto di questo tipo di “unione” che è importante: bisogna imparare a essere tolleranti, come nei matrimoni più riusciti. Il navigatore verso il pilota e viceversa. Un piccolo errore di guida, una pietra, una ruota forata, scendere, perdere tempo. Oppure, un piccolo errore a un bivio. Fermarsi, tornare indietro, ripartire, perdere tempo. Situazioni nelle quali è facile perdere la pazienza, anche per poco, ma non deve succedere. Se continui a dire al pilota che ha sbagliato, è la volta buona che ti perderai una nota del road book e sarà un altro sbaglio. L’errore è umano, ed è sempre dietro l’angolo” se si va forte, ma ci vuole tolleranza se si vuole imparare ad essere veloci».
DE: «E le cose si dicono dopo, con calma perché servano per riflettere e per imparare qualcosa, e per rafforzare la fiducia in seno all’Equipaggio. È basilare, se viene meno la fiducia è finita!»
Grazie “ragazzi”, altro che Rally, qui ci state dando delle lezioni di vita!
J-P C, DE. «Ma no, stiamo parlando solo di esperienza, e poi siamo qui soprattutto… per farvi gli auguri immensi di Buon Anno».
Hey, grazie mille, e ricambiamo di cuore trasmettendo immediatamente la “nota” ai nostri lettori: Buon 2016!